Perché scrivo fiumi di parole nel vuoto

by Rollo


Stamattina ho ricevuto l'ennesima telefonata. Un imprenditore che conosco da anni, disperato perché ha appena scoperto che il suo business partner gli ha svuotato il conto corrente aziendale. La stessa persona a cui due anni fa avevo spiegato dettagliatamente perché quel partner non era affidabile, documenti alla mano, pattern comportamentali evidenti, red flag grosse come caseggiati. Mi aveva ringraziato, mi aveva detto "hai ragione", e poi aveva fatto esattamente l'opposto di quello che gli avevo consigliato.

Mentre lo ascoltavo raccontarmi il disastro che avevo previsto nei minimi dettagli, mi sono chiesto per la millesima volta se davvero il mio scopo nella vita sia quello di aiutare le persone a capire, oppure se mi stia sbagliando completamente strada.

La maledizione di Cassandra

Trent'anni di esperienza in settori diversi ti danno una cosa: la capacità di riconoscere i pattern. Vedi arrivare i disastri con una precisione quasi chirurgica. Il problema è che le persone non vogliono essere salvate dai loro errori. Vogliono essere rassicurate nelle loro decisioni sbagliate.

Quando qualcuno ti chiede un consiglio, in realtà sta cercando una benedizione per fare quello che ha già deciso di fare. E tu, stupido, continui a sprecare energie per spiegare perché quella strada porta dritto al precipizio. Ma loro sorridono, annuiscono, ti ringraziano, e poi si buttano giù dal dirupo con la stessa determinazione con cui un lemming segue il branco.

Il pensionato davanti al cantiere

Eppure non riesco a smettere. Perché l'alternativa è diventare uno di quei vecchi pensionati che passano le giornate tristemente davanti a un cantiere, commentando il lavoro degli operai. "Quello lì sta sbagliando", "Io l'avrei fatto diversamente", "Ai miei tempi...". L'idea mi terrorizza più della solitudine.

Non mi serve lavorare. Potrei smettere domani e vivere di rendita per il resto della vita. Con moderazione, ma potrei. Ma poi cosa faccio? Guardo Netflix? Vado in palestra? Faccio la spesa alle dieci del mattino evitando la folla dei weekend? È una prospettiva che mi fa venire l'orticaria.

Il vizio di scrivere per capire

Così scrivo. Fiumi di parole per cercare di capire dove sbaglio io, dove sbagliano gli altri. Scrivo per decifrare questo groviglio di relazioni umane che sembra seguire logiche che sfuggono a qualsiasi manuale di psicologia. Scrivo per trovare un senso a questa condizione di eterno osservatore esterno.

Ma la pace non arriva mai. Ogni risposta genera tre nuove domande. Ogni pattern che identifico si rivela più complesso di quanto pensassi. È come cercare di mappare un territorio che cambia forma mentre lo stai disegnando.

E intanto il tempo lo passo per la maggior parte da solo, perché gli altri hanno questo vizio di lavorare e non avere mai tempo. Loro corrono dietro alle scadenze, io corro dietro ai significati. Due velocità completamente diverse, due mondi che si sfiorano appena.

Il fantasma che tutti invidiano

È una specie di condanna esistenziale: vagare solitario come un moderno fantasma che tutti invidiano ma che nessuno vorrebbe essere veramente. "Che bello, sei libero di fare quello che vuoi", mi dicono. E io annuisco, sorrido, non gli racconto che la libertà totale è la prigione più raffinata che esista.

Perché quando puoi fare tutto, paradossalmente non sai più cosa fare. Quando non hai vincoli esterni, devi trovarti vincoli interni. E i vincoli interni sono molto più difficili da rispettare di quelli che ti impone il mondo.

Gli hobby che diventano business

Anche quando mi trovo degli hobby, nonostante faccia di tutto per evitarlo, diventano business. È più forte di me. Vedo un'inefficienza, individuo un'opportunità, sistemo un processo. E prima che me ne accorga ho creato un'altra azienda da delegare al 100%.

Ma anche quando delego tutto, il risultato non cambia: sono sempre e comunque da solo. Perché il business è fatto di relazioni funzionali, non di connessioni umane. Puoi avere centinaia di collaboratori, fornitori, clienti, e sentirti comunque isolato come un astronauta nello spazio.

La scelta del non-scegliere

Forse è questo il vero motivo per cui scrivo: per procrastinare la decisione definitiva su cosa fare della mia vita. Perché finché analizzo, finché cerco di capire, finché esploro le dinamiche umane attraverso le parole, posso rimandare il momento in cui dovrò ammettere che forse non esiste una risposta.

E intanto continuo a ricevere telefonate da persone che si sono cacciate nei guai che avevo previsto. Continuo a dare consigli che verranno ignorati. Continuo a scrivere per un pubblico che forse nemmeno esiste.

Ma almeno, in questo flusso infinito di parole, ogni tanto riesco a catturare un frammento di verità. Un piccolo insight che illumina per un istante la complessità del vivere. E forse, alla fine, è questo il mio scopo: non salvare nessuno, ma semplicemente testimoniare. Raccontare cosa si vede da quassù, da questa strana posizione di privilegiato solitario.

Anche se nessuno mi sta ascoltando.