Collego puntini che altri non vedono

C'è una cosa che ho notato in quarant'anni di lavoro: le cosiddette "migliori pratiche" hanno una tendenza preoccupante a peggiorare le situazioni invece di migliorarle.
Non sto parlando di casi isolati. Parlo di un pattern che vedo ripetersi costantemente: un'azienda scopre che un'altra ha successo facendo X, copia X alla lettera e si ritrova con risultati disastrosi. Oppure: un settore intero adotta una "best practice" che funzionava magnificamente altrove e nel giro di due anni tutti si chiedono perché le cose sono peggiorate.
Il meccanismo è sempre lo stesso: qualcuno ha risolto un problema specifico in un contesto specifico, quella soluzione diventa un mantra, viene estratta dal suo contesto originale e applicata ovunque come se fosse una legge universale della fisica. Spoiler: non lo è.
Questo è esattamente il tipo di schemi che collego per vivere. E quando qualcuno mi chiede "ma tu che lavoro fai?", mi trovo sempre in difficoltà a rispondere senza sembrare o troppo vago o terribilmente spocchioso.
Il problema dell'etichetta
Provo a spiegare. La maggior parte delle professioni ha un'etichetta chiara: "Sono un medico", boom, tutti capiscono. "Faccio l'avvocato", immediato. Anche "Lavoro nell'informatica" funziona, anche se poi dentro ci sono mille specializzazioni diverse.
Io? Tecnicamente sono un Strategic Behavioural System Designer. Che tradotto significa: progetto sistemi che influenzano il comportamento delle persone, di solito dentro organizzazioni complesse. Ma se lo dico così alla festa di compleanno di un amico, vedo occhi che si velano educatamente mentre la persona cerca una scusa per andare a riempirsi il bicchiere.
Ho provato versioni più semplici nel corso degli anni. "Sono un consulente", ma poi arriva inevitabilmente "consulente di cosa?" e siamo punto e a capo. "Aiuto le aziende a funzionare meglio", verissimo ma suona come tutti gli altri consulenti gestionali che vendono la soluzione del mese tratta dall'ultimo bestseller aeroportuale.
La verità è che quello che faccio è collegare puntini che altri non vedono. E questo richiede una spiegazione un po' più lunga.
Come ho imparato a vedere pattern
Negli anni '90 lavoravo nel settore creativo quando Internet è arrivato come uno tsunami. Non parlo dell'Internet che conosciamo oggi, parlo dei giorni in cui spiegare a un cliente che aveva bisogno di un "sito web" era come convincerlo che doveva comprare un'astronave.
La maggior parte dei miei colleghi vedeva Internet come una minaccia o come un giocattolo. Io ho visto qualcosa di diverso: stavo osservando in tempo reale come una tecnologia disruttiva stava smontando e riassemblando le strutture economiche e sociali di un intero settore.
Non è che fossi più intelligente degli altri. È che guardavo la cosa da una prospettiva diversa: mentre tutti si concentravano sui dettagli tecnici ("Quanti megabyte serve il server?") o sui dettagli tattici ("Come facciamo a competere con i prezzi più bassi?"), io guardavo i meccanismi strutturali che stavano cambiando.
Chi aveva davvero il potere? Come si stavano spostando i flussi di denaro? Quali vecchie regole non funzionavano più e perché? Quali nuove strutture stavano emergendo spontaneamente?
E soprattutto: quali erano i pattern che avevo già visto in altri contesti che si stavano ripetendo qui?
Quella capacità di vedere lo schema dietro il caos, di collegare meccanismi simili tra contesti diversi, di capire non "cosa sta succedendo" ma "perché sta succedendo in questo modo specifico", quella è diventata la mia specialità .
L'analogia che uso (quando trovo qualcuno paziente)
Se devo spiegare cosa faccio realmente, uso questa analogia: progetto sistemi che fanno credere alle persone di fare delle scelte. Aspetta, prima che suoni troppo sinistro tipo manipolazione da Grande Fratello, lascia che spieghi.
Pensa all'ultimo supermercato in cui sei stato. Hai scelto liberamente cosa comprare, vero? Tecnicamente sì. Ma qualcuno ha progettato attentamente dove mettere i prodotti, come illuminarli, in che ordine incontrarli, quali metterti all'altezza degli occhi e quali in basso. Il latte è quasi sempre in fondo perché così attraversi tutto il negozio e vedi (e compri) altre cose. I dolci sono vicino alle casse dove sei in fila e annoiato. Le cose più costose sono all'altezza degli occhi.
Hai scelto? Sì. Ma dentro un'architettura progettata per influenzare quelle scelte.
Io faccio la stessa cosa, ma con sistemi organizzativi complessi. Progetto strutture (di comunicazione, di decisione, di incentivi, di flussi di lavoro) che rendono alcuni comportamenti naturali e altri faticosi. Non dico alle persone cosa fare. Creo l'ambiente in cui certi comportamenti emergono spontaneamente.
La gente sceglie. Ma sceglie dentro un'architettura che ho progettato per far emergere certi outcome invece di altri.
Cosa non sono
Forse è più facile spiegare cosa non faccio.
Non seguo mode manageriali. Non ti vendo "agile" o "lean" o "design thinking" o qualsiasi sia l'ultima metodologia che va di moda quest'anno. Non perché siano tutte sbagliate (alcune sono brillanti) ma perché il mio lavoro è capire quali meccanismi funzionano per il TUO problema specifico nel TUO contesto specifico, non applicare la soluzione pre-confezionata del mese.
Non faccio coaching motivazionale. Non sono qui per farti sentire meglio o per darti la carica. Se il problema è strutturale (e quasi sempre lo è) nessuna quantità di motivazione lo risolverà .
Non vendo corsi o certificazioni. Non ho una "metodologia Rollo®" che puoi imparare in tre giorni e poi applicare ovunque. Questo perché ogni situazione richiede un'analisi specifica di quali meccanismi stanno operando e come interagiscono.
Non sono un consulente gestionale tradizionale che arriva, fa slides per tre mesi e poi sparisce lasciandoti con un PowerPoint e una fattura salata. E già che ci sono: odio le presentazioni PowerPoint. Le odio visceralmente. Perché trasformano problemi complessi in bullet point rassicuranti che non cambiano niente. Il mio lavoro finisce quando il sistema funziona, non quando la presentazione è finita.
Il problema che risolvo più spesso
C'è una frase che sento quasi sempre quando mi chiamano: "Abbiamo sempre fatto così."
Questa è la variante aziendale di "perché le best practices peggiorano le cose." Qualcosa che funzionava in un contesto (magari anni fa, in un mercato diverso, con altre persone) è diventato "come si fanno le cose qui" e nessuno si chiede più se ha ancora senso.
Un esempio concreto, senza fare nomi: un'azienda manifatturiera dove ero stato chiamato per "migliorare la produttività ." Tutti lavoravano tantissimo, tutti si lamentavano di non avere mai tempo, eppure i risultati erano mediocri e in calo.
Il management vedeva un problema di motivazione. I consulenti precedenti avevano proposto nuovi sistemi di incentivi, formazione sulla leadership, team building. Niente aveva funzionato.
Io ho passato una settimana a osservare. Non a fare interviste formali o questionari, semplicemente a guardare come funzionava davvero il sistema, non come doveva funzionare secondo l'organigramma. Tipo "operazione Tata".
E ho visto il pattern: c'erano tre livelli di approvazione per qualsiasi decisione che coinvolgesse più di 500 euro. Una policy introdotta anni prima dopo un episodio di spesa inappropriata da parte di un manager che non lavorava più lì da tempo.
Il risultato? I project manager passavano il 60% del loro tempo a preparare documentazione per richieste di approvazione e ad aspettare risposte. Le decisioni che dovevano essere prese in ore richiedevano settimane. Le persone avevano smesso di proporre miglioramenti perché la burocrazia era troppo pesante.
"Abbiamo sempre fatto così", una policy nata per risolvere un problema specifico era diventata un sistema che soffocava l'intera organizzazione.
La soluzione non è stata motivazionale o tecnologica. È stata strutturale: ridisegnare il sistema di approvazione basandosi su risk management reale invece che su paranoia storica. Risultato: stesse persone, stesso budget, produttività aumentata del 40% in tre mesi.
Come funziona davvero il mio lavoro
Quando arrivo in una situazione complessa, non cerco "la soluzione." Cerco di capire quali meccanismi stanno producendo i risultati che vedo.
Guardo gli incentivi reali, non quelli dichiarati. Guardo chi ha davvero il potere, non chi dovrebbe averlo secondo l'organigramma. Guardo quali comportamenti il sistema rende facili e quali rende difficili.
E soprattutto, cerco pattern che ho visto in altri contesti. Perché i meccanismi umani fondamentali (come le persone rispondono agli incentivi, come si formano le culture organizzative, come l'informazione fluisce attraverso le reti) questi meccanismi sono sorprendentemente simili che tu stia guardando un'azienda tech, un'organizzazione non profit, o un mercato finanziario.
Non sono più intelligente. Ho semplicemente passato quarant'anni a guardare questi pattern in contesti diversissimi (dal settore creativo alla finanza, dalla manifattura alla tecnologia) e ho sviluppato un archivio mentale di "ho già visto questo film, so come finisce."
Quando vedo un'azienda che copia la struttura organizzativa di Google senza avere il contesto di Google, so esattamente quali problemi emergeranno e quando. Quando vedo un mercato dove tutti stanno facendo la stessa cosa, so quali meccanismi lo stanno causando e dove si formeranno le opportunità .
Non è magia. È pattern recognition attraverso domini diversi, alimentato da decenni di osservazione di cosa funziona davvero versus cosa dovrebbe funzionare in teoria.
Perché è difficile spiegarlo
Il problema fondamentale è questo: la maggior parte delle professioni si definisce per gli strumenti che usa o i problemi specifici che risolve. Un idraulico ripara tubi. Un avvocato gestisce questioni legali. Un programmatore scrive codice.
Io collego meccanismi comportamentali attraverso contesti diversi per progettare sistemi che producono outcome specifici. Non è esattamente qualcosa che rientra in una categoria pre-esistente.
E quando provo a spiegarlo con esempi concreti, suona o troppo semplice ("quindi hai solo cambiato una policy?") o troppo astratto ("sistemi comportamentali complessi...").
La verità sta nel mezzo: è semplice una volta che vedi il pattern, ma vedere il pattern richiede di guardare la situazione attraverso lenti che la maggior parte delle persone non ha.
La chiusura onesta
Quindi, quando qualcuno mi chiede "ma tu che lavoro fai?", la risposta onesta è: collego puntini che altri non vedono, e progetto sistemi che influenzano comportamenti senza che le persone se ne rendano conto.
Non ho un metodo che puoi imparare in un workshop. Non ho slides che spiegano tutto. Non seguo l'ultima moda gestionale.
Quello che ho è un archivio di pattern accumulato in quarant'anni attraverso settori diversissimi, la capacità di vedere meccanismi strutturali dove altri vedono solo caos o problemi di motivazione, e l'esperienza per sapere quali interventi funzioneranno e quali sono solo teatro aziendale.
Se hai un problema dove tutti lavorano tanto ma i risultati non arrivano, dove "abbiamo sempre fatto così" è diventato una prigione, dove hai provato tutte le soluzioni standard e niente ha funzionato, probabilmente hai un problema di design sistemico.
E se leggendo questo hai pensato "cazzo, è esattamente il tipo di ragionamento che mi serve," allora sai già cosa significa.
Se invece hai pensato "interessante ma non sono sicuro di aver capito cosa fa davvero," va benissimo. Non tutti hanno bisogno di un systems architect. E probabilmente non sei la persona che mi fermerebbe a una festa per chiedermi "ma quindi, in pratica, cosa fai?"
Perché a quel punto, invece di riempirmi il bicchiere e scappare, mi staresti chiedendo se posso dare un'occhiata a quel problema che ti tiene sveglio la notte. E quella è una conversazione completamente diversa.
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