Cosa scopri quando non puoi più fingere

Oggi niente sistemi, niente pattern da altri contesti. Solo una cosa che ho scoperto su me stesso attraverso lo sport. Nel CrossFit, quando ero agli inizi, facevo una cosa: assemblavo dream team per le gare. Prendevo i più forti, li mettevo insieme, pensando che vincere fosse questione di sommare le forze migliori. Erano altri tempi, 16 anni fa il livello era molto più basso di oggi.
Non funziona così. Quando sei debole, non è la forza degli altri a renderti più forte. Fisicamente, intendo. Il tuo corpo è il tuo corpo. Fine.
Poi sono passato al canottaggio. E lì ho visto un tizio fare esattamente quella cosa. Sistematicamente. Prendeva i più forti, li metteva insieme, assemblava super-team per aumentare le chance di vittoria. Lo chiamavano "il selezionatore". Che termine volgare, arrogante. E l'ironia è che non era né fisicamente né tecnicamente dotato, né aveva le competenze per fare veramente una selezione. Però qualcuno lo aveva messo lì con quel ruolo e lui, abusando del suo potere, non guardava in faccia a nessuno, calpestando chiunque non fosse "forte". Che poi forte... mah.
E mi è venuta voglia di insultarlo. E odiarlo ferocemente, con cattiveria.
Non perché stesse sbagliando tecnicamente. Ma perché vedevo me stesso. Quello che ero io prima di capire che non era il modo giusto per vincere. Quella cosa patetica di voler vincere così tanto da non capire che non stai costruendo una squadra. Stai solo usando la forza altrui per sopperire alle tue carenze.
Non è un po' come barare. È proprio barare.
La differenza tra sport e non sport
Il CrossFit non è nemmeno uno sport. È allenamento. Condivisione. Community. Lì la maschera cade il primo giorno. Più ti atteggi ad atleta e più prendi mazzate. Il tuo corpo dice la verità : questo è quanto reggi, questo è dove finisci, questo è il tuo limite strutturale.
All'inizio ci provi, ci riprovi, non ti dai per vinto. Pensi che sia questione di allenamento, di determinazione, di volontà . Poi capisci che no. È strutturale. Il tuo corpo arriva fino a lì. Non è una sconfitta, è un dato di fatto.
E a quel punto rallenti. Dai priorità alla qualità di quello che sai fare, rispetto alla quantità di cose che potresti fare male.
Il canottaggio invece è sport. Agonismo vero. Gare. Medaglie. Classifiche. E io sono arrivato lì pensando che funzionasse come il CrossFit. Community, sofferenza condivisa, crescita insieme.
Ho persino cambiato casa. Cambiato vita. Ho lasciato una società di canottaggio in Svizzera dove erano tutti più genuini, per un'altra in cui imparare a remare meglio. Ci credevo. E nel frattempo sono rimasto intrappolato nel delirio della pandemia. Solo, letteralmente, in Italia dove rientrare è stato piuttosto difficile dopo essersi abituato alla Svizzera.
Il tempio del rowing
Avevo scelto quello che credevo fosse il posto giusto. Il tempio del rowing. Dove la tecnica è perfetta, dove si lavora sul serio, dove si costruisce qualcosa di vero.
Quello che ho scoperto è che una tecnica da manuale non serve a niente se non esiste quel senso di squadra. E in quel posto il senso di squadra proprio non c'era. C'era uno show off continuo a chi ce l'ha più grosso tra società . Quella che per molti era una specie di faro nella notte, in realtà era retta da un board colluso e mafioso nei modi.
Apparenza contro sostanza.
Esattamente il contrario di quello che faccio per lavoro, dove passo la vita a cercare meccanismi veri sotto le facciate, a smontare quello che sembra per trovare quello che è. E mi sono trovato in un posto dove la facciata era tutto. Dove funzionavi come un motore: si rompe un pistone? Lo cambi. Un pezzo vale l'altro, basta che giri bene. Tu sei un pistone. Se non giri come serve, ti cambiano.
Non c'è intimità nella sofferenza. C'è selezione. I migliori vincono, gli altri guardano. Nessuno ti tiene la testa mentre vomiti e poi ride con te dopo. Nessuno rispetta i tuoi limiti se i tuoi limiti sono più bassi di quelli necessari per vincere.
Nel CrossFit, se ti ho tenuto la testa mentre vomitavi durante un WOD, non puoi fare tanto il figo con me dopo. C'è un'intimità imbarazzante. Tutti vedono tutti. Tutti cascano. Tutti scoprono i propri limiti davanti agli altri.
E quando la maschera cade per tutti, non solo per te ma anche per gli altri, si creano rapporti genuini. Solidi. Intimi in un modo che è difficile spiegare.
Nel canottaggio agonistico quella community non esiste. Esiste la vittoria. Esiste l'avidità di primeggiare anche quando oggettivamente non è il caso. Esiste quel tizio che assemblava super-team sistematicamente, compulsivamente, fino a risultare patetico perché da un certo punto ti devi arrendere.
Che ero io, prima di capire.
Cosa rimane
Che puoi vincere senza costruire niente. Puoi prendere i migliori, assemblarli, e portare a casa medaglie. Ma non stai creando una squadra. Stai solo usando pezzi di ricambio.
Che i limiti strutturali esistono. E che accettarli è più forte che negarli.
Che l'intimità vera viene dalla vulnerabilità condivisa, non dalle vittorie.
Che puoi cambiare casa e vita per inseguire qualcosa di vero, e trovarti in un teatro di apparenze dove quello che conta è solo la facciata.
E che vedere te stesso in qualcun altro che fa la stessa cosa di merda che facevi tu è uno specchio brutale.
Lo sport non ti dà sempre qualcosa. A volte ti toglie. Ti toglie la possibilità di fingere. Ti toglie la maschera. Ti toglie l'illusione di essere migliore di quello che sei.
E forse è esattamente quello che serve.
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