Ho smesso di avere paura

Cinque città in una settimana. Il bagaglio sempre pronto, gli aeroporti che diventano una seconda casa e noi che come dei perfetti tamarri abbiamo noleggiato una BMW 420 che si è rivelata tutto fumo e niente arrosto. Gli ADAS che dovevano rendere la guida un'esperienza premium si sono dimostrati più frustranti di un sistema di navigazione del 2005, con sensori che impazzivano a ogni rotatoria e assistenti alla guida che sembravano progettati da qualcuno che non aveva mai guidato in Italia. Eppure, in mezzo a questo frullatore di spostamenti tra Milano, Macerata, Civitanova, Roma e Cagliari, girando con quella macchina che prometteva innovazione e ci regalava solo bip incessanti, ho scoperto qualcosa che mi ha colpito più di qualsiasi business plan o strategia di marketing: a sessantadue anni ho finalmente capito cosa significa essere davvero allineati con qualcuno. Ed ho anche capito che con la BMW ho chiuso, ma questa è un'altra faccenda.
Il mentore che non volevo essere
Non ho mai pensato a me stesso come a un padre, un gentiore. Ormai sarebbe anche un po' tardi, se devo essere onesto. Ma questa figura del mentore, nel senso più storico ed epico del termine, mi sta addosso come un vestito su misura che non sapevo di aver ordinato.
È successo tutto grazie a Federico, uno dei miei due giovani soci. Ma prima ancora di parlare di business o mentoring, c'è qualcosa di più profondo. Una sintonia quasi magica, un po' alla "Sandra e Raimondo", che va oltre qualsiasi logica professionale che, come dice Fede, "Mi fa volare". E io sento che è reciproco. Guardandolo lavorare, sbagliare, riprovarci, ho realizzato che prodigarsi per dare una mano condividendo le proprie competenze è uno dei modi più autentici per dimostrare a qualcuno quanto ci tieni. Non nel senso egoistico di chi cerca conferme per il proprio ego, non come chi prima o poi tirerà fuori il lato passivo-aggressivo facendoti pesare ogni favore. È diverso. È più pulito.
La matematica emotiva del dare
Stare con l'occhio vigile mentre qualcuno impara a camminare nelle sabbie mobili del business, lasciarlo sbagliare ma essere lì quando serve una mano, è una sensazione che non avevo mai sperimentato prima. Ti senti bene a fare quel bene. Ti senti bene quando senti un "grazie" genuino. Quando i discorsi che fai, l'interazione con l'altro, pur con tutte le differenze generazionali e di prospettiva, diventano momenti di crescita reciproca.
Trent'anni di esperienza in settori completamente diversi mi hanno insegnato a, come dico sempre, "unire i puntini". Ma questa cosa così autentica la sto scoprendo solo ora. Meglio tardi che mai?
Il dubbio del vecchio saggio
E qui sorge la domanda che mi tortura da giorni. Sto diventando un vecchio nostalgico che si compiace di dispensare saggezza dal suo trono di esperienza? Un dubbio che mi attanaglia al punto di averne parlato addirittura con il Segretario di Confartigianato della Sardegna (va beh, abbiamo solo un anno di differenza). Oppure ho finalmente capito come funzionano davvero le relazioni umane, scoprendo che non sempre le persone hanno secondi fini?
Forse la risposta è entrambe le cose. Forse diventare "saggi" significa proprio questo: accettare che la generosità autentica esiste, che non tutto ha un prezzo nascosto, che a volte le persone fanno le cose semplicemente perché le fanno stare bene.
Il paradosso del mentore riluttante
La cosa ironica è che più resisto all'etichetta di "mentore", più mi comporto da tale. È come se la mia naturale diffidenza verso i ruoli prestabiliti mi stesse portando a incarnare esattamente quello che non volevo diventare. Ma in una versione più autentica, meno pomposa, più umana.
Non vendo soluzioni, illumino problemi. Non predico certezze, condivido dubbi. Non costruisco discepoli, coltivo pensatori indipendenti.
E questo, forse, è il vero mentoring. Quello che non si autodefinisce tale, quello che nasce dalla sincera soddisfazione di vedere qualcun altro crescere, quello che non chiede nulla in cambio se non il piacere di aver contribuito a un piccolo pezzo di crescita umana.
Alla fine, dopo una vita passata a cambiare settore ogni volta che iniziavo a sentirmi esperto, ho scoperto che l'expertise più preziosa non riguarda cosa sai fare, ma come sai essere con gli altri. E questo, stranamente, è l'unica competenza che migliora ogni volta che la condividi.