I nostri bias cognitivi sono obsoleti

by Rollo


I nostri bias cognitivi sono obsoleti

Il nostro cervello è rimasto fermo al Paleolitico mentre il mondo è schizzato nel digitale. È come guidare una Ferrari del 2025 con il sistema di navigazione di una Cinquecento del 1970: tecnicamente funziona ancora, ma ti ritrovi perso nel primo parcheggio multipiano che incontri.

I bias cognitivi che ci hanno tenuto vivi per millenni, per esempio la paura del diverso, la ricerca del consenso sociale, la tendenza a credere alle prime informazioni che riceviamo, oggi sono diventati le nostre principali vulnerabilità. Peggio ancora: sono diventati i nostri padroni invisibili.

Il grande tradimento evolutivo

Pensateci un momento. Il cervello che vi dice di comprare quella maglietta perché "tutti la stanno indossando" è lo stesso che faceva sopravvivere i vostri antenati nelle savane africane. La differenza è che allora seguire il gruppo significava non finire divorati da un leone. Oggi significa finire divorati da un algoritmo di raccomandazione che ha capito perfettamente come manipolare i vostri istinti tribali.

La confirmation bias, cioè quella bella tendenza a cercare solo informazioni che confermano quello che già pensate, una volta vi proteggeva dal perdere tempo prezioso in dibattiti filosofici mentre un predatore vi stava puntando. Adesso vi fa vivere in bolle informative dove ogni click rafforza le vostre convinzioni e vi allontana sempre di più dalla realtà.

E non parliamo del loss aversion, quel meccanismo che vi fa temere le perdite più di quanto desiderate i guadagni. Nel mondo ancestrale aveva senso: perdere il cibo significava morire di fame. Nel 2025 significa non vendere mai le azioni in perdita e tenere per anni investimenti che vanno a rotoli, oppure rimanere in un lavoro che odiate perché "almeno è sicuro".

I nuovi predatori sono invisibili

Il problema è che le minacce sono cambiate completamente natura. Non dobbiamo più temere i leoni, ma la sovraesposizione agli stimoli. Non dobbiamo più preoccuparci della scarsità di cibo, ma dell'abbondanza di informazioni tossiche. I conflitti tribali si sono trasformati in guerre di narrative sui social media, dove l'arma più potente non è la clava ma l'algoritmo che sa esattamente quali bottoni emotivi premere.

Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di micro-decisioni progettate da team di neuroscienziati e data scientist per bypassare la nostra razionalità. Quel "solo per oggi" dello sconto online, il numero di like che sale in tempo reale, la notifica che arriva proprio quando stavamo per chiudere l'app.  Tutto questo sfrutta meccanismi neurologici che si sono evoluti quando l'informazione era scarsa e preziosa, non sovrabbondante e tossica.

Servono nuovi bias, non meno bias

La soluzione non è eliminare i bias cognitivi, ormai sono troppo radicati nel nostro hardware biologico. La soluzione è aggiornare il software. Abbiamo bisogno di nuovi meccanismi di difesa mentale, di bias cognitivi 2.0 che ci proteggano dalle minacce moderne.

Immaginate di avere una healthy suspicion bias verso tutto ciò che vi fa sentire troppo bene troppo in fretta. O un information diet bias che vi spinge automaticamente a cercare fonti diverse prima di formarvi un'opinione. O ancora meglio, un meta-cognitive bias che vi fa fermare e chiedere: "Chi guadagna se io credo a questa cosa?"

Il cervello da solo, però, non ce la può fare. È come chiedere a un computer degli anni '80 di far girare ChatGPT: l'hardware è semplicemente inadeguato alla complessità del compito.

L'intelligenza artificiale come allenatore cognitivo

Ecco dove entra in gioco l'AI. Non come sostituto del pensiero, ma come personal trainer della mente. Un sistema che non vi dice cosa pensare, ma vi aiuta a pensare meglio. Che vi fa notare quando state cadendo in trappole cognitive, che vi stimola a considerare prospettive diverse, che vi crea ambienti mentali protetti dove poter riflettere senza essere bombardati da stimoli manipolativi.

Pensate a un coach cognitivo che vi sussurra: "Ehi, quella notizia ti ha fatto arrabbiare molto in fretta. Hai controllato la fonte? Hai considerato che potrebbe essere progettata proprio per farti arrabbiare?" Oppure: "Stai per comprare qualcosa che ti è stato suggerito da un algoritmo. Ti va di aspettare 24 ore e vedere se lo desideri ancora?"

Certo, i rischi ci sono e sono enormi. Chi programma questo coach cognitivo? Come garantiamo che non diventi a sua volta uno strumento di manipolazione ancora più sottile e pervasivo? Come evitiamo che la cura diventi peggiore della malattia?

Ma forse è proprio questo il punto. Forse dobbiamo smettere di cercare soluzioni perfette e iniziare a sperimentare soluzioni migliori. Forse è meglio rischiare con un'AI che ci aiuta a riflettere piuttosto che rimanere inermi davanti alla manipolazione di massa che già subiamo ogni giorno.

Il futuro è già qui, ma lo stiamo sprecando

Io e il mio team ci stiamo lavorando. Stiamo progettando sistemi che non sostituiscono il pensiero critico, ma lo amplificano. Che non danno risposte preconfezionate, ma aiutano a formulare domande migliori. Che non eliminano l'incertezza, ma insegnano a navigarla con più consapevolezza.

Voi, nel frattempo, continuate a chiedere a ChatGPT dove cenare stasera spendendo poco. Va bene, ognuno ha le proprie priorità. Ci rivediamo tra qualche anno, quando scoprirete che il vero lusso non era avere un assistente digitale che vi risolve i problemi banali, ma uno che vi aiuta a non cascare nelle trappole mentali che qualcun altro ha progettato per voi.

Il Paleolitico è finito da un pezzo. È ora di aggiornare anche il cervello.