Il cessate il fuoco progettato per collassare

Se vi dicessi che il cessate il fuoco a Gaza è progettato per collassare, mi credereste?
Terza volta in due anni. Ogni volta la stessa sceneggiatura, lo stesso crollo, gli stessi che ne traggono vantaggio. Non è incompetenza. Non è cattiva diplomazia. Non è sfortuna. È architettura deliberata.
Il pattern che tutti vedono ma nessuno nomina
Novembre 2023. Cessate il fuoco di sette giorni mediato da Qatar ed Egitto. Vengono scambiati settanta ostaggi israeliani con duecentodieci prigionieri palestinesi. Il primo dicembre tutto crolla. Israele riprende le operazioni militari.
Gennaio 2025. Cessate il fuoco di quarantadue giorni, strutturato in tre fasi. Prima fase prevede trentatré ostaggi israeliani in cambio di oltre millecinquecento prigionieri palestinesi. Arriva fine febbraio e la seconda fase non inizia mai. Il diciotto marzo Israele lancia l'operazione che chiama "Forza e Spada". Oltre quattrocento palestinesi uccisi in poche ore, compresi tre leader politici di Hamas: Issam al-Daalis, Yasser Harb, Mohamed al-Jamasi. Il cessate il fuoco collassa.
Ottobre 2025. Nuovo cessate il fuoco. Stessa identica struttura di prima: tre fasi da quarantadue giorni ciascuna. Stesso design fragile. Stessi dettagli da definire per la seconda fase.
Tre cicli. Stesso meccanismo. Stesso risultato finale.
A che punto smettiamo di chiamarli tentativi di pace falliti e iniziamo a vedere quello che realmente sono?
L'economia degli ostaggi: quando la debolezza diventa forza
Hamas ha scoperto qualcosa che cambia completamente il calcolo strategico di questa guerra. Gli ostaggi israeliani sono diventati un asset con potere di determinazione dei prezzi praticamente infinito.
Pensa a cosa vale ogni singolo ostaggio nelle mani di Hamas. Vale dai trenta ai sessanta prigionieri palestinesi liberati dalle carceri israeliane, secondo gli scambi storici documentati. Vale mesi di cessate il fuoco durante i quali riorganizzarsi. Vale una pressione politica interna sul governo Netanyahu che non ha prezzo. E soprattutto vale la prova globale, visibile a tutti, che Hamas esiste ancora come forza politica e militare.
Questo è teoria dei giochi nella sua forma più pura, con una verità tremendamente scomoda al centro: Israele non può risolvere questa situazione militarmente senza uccidere gli ostaggi che sta cercando di salvare.
Tutta la superiorità tecnologica di cui dispone Israele diventa improvvisamente irrilevante. I droni, gli F-35, l'intelligence satellitare più avanzata al mondo non servono a nulla quando il tuo obiettivo nasconde ostaggi sotto le macerie di Gaza City. Ogni operazione militare diventa una roulette russa dove rischi esattamente quello che stai cercando di proteggere.
Hamas deve mantenere quegli ostaggi in vita per mantenere la leva negoziale. Israele non può usare la forza totale senza distruggere proprio quello che cerca di salvare. Il risultato è uno stallo asimmetrico dove l'attore militarmente più debole controlla il ritmo del conflitto. Non è un caso. È il momento preciso in cui la guerra asimmetrica incontra l'economia comportamentale e genera un equilibrio perverso ma stabile.
Il calcolo politico di Netanyahu
Benjamin Netanyahu ha un problema strutturale che spiega molto del suo comportamento. Una pace vera significa elezioni anticipate e le elezioni anticipate probabilmente significano che perde il potere.
La sua coalizione di governo dipende dalla narrativa della minaccia esistenziale. Un conflitto perpetuo mantiene questa narrativa credibile agli occhi dell'elettorato. Una risoluzione definitiva toglie il collante ideologico che tiene insieme forze politiche altrimenti incompatibili.
Netanyahu ha strutturalmente più da perdere dalla pace che da una guerra gestibile. Non sto facendo cinismo facile. Sto descrivendo un incentivo strutturale preciso. La sua posizione politica diventa più forte quando c'è caos, più debole quando c'è stabilità . È quello che Nassim Taleb chiamerebbe una posizione antifragile al conflitto ma fragile alla pace.
Quando vedi un leader con questo tipo di struttura di incentivi, puoi predire il comportamento con una precisione abbastanza accurata. Ogni cessate il fuoco sarà abbastanza lungo da calmare l'opinione pubblica interna e internazionale, ma abbastanza fragile da collassare prima che diventi irreversibile.
Il teatro mediorientale di Trump
Ottobre 2025. L'amministrazione Trump ha un problema domestico serio: un debito federale sproporzionato, caos politico interno, sondaggi difficili. Serve una vittoria in politica estera. Veloce, visibile, a basso costo.
Il cessate il fuoco a Gaza è perfetto per questo scopo. Trump può presentarsi come mediatore di pace, fare le foto ufficiali, dichiarare vittoria davanti alle telecamere. Tutto questo senza risolvere nulla dal punto di vista strutturale.
Una risoluzione definitiva sarebbe in realtà un problema per lui. Perderebbe la leva negoziale sul Medio Oriente, perderebbe il ruolo di mediatore necessario, perderebbe una carta importante da giocare nelle relazioni con Iran, Arabia Saudita ed Egitto.
Ma un cessate il fuoco temporaneo che collasserà tra qualche mese gli permette di tornare come salvatore quando servirà di nuovo. È una rilevanza ricorrente, un abbonamento alla risoluzione dei conflitti che non si risolve mai veramente.
Questo spiega perché ogni amministrazione americana, da Bush a Obama al primo Trump a Biden e ora di nuovo Trump, segue esattamente lo stesso pattern. Mediazione intensa, cessate il fuoco temporaneo, silenzio assordante quando tutto collassa e poi si ricomincia da capo.
Non è un fallimento della diplomazia. È una caratteristica del sistema, non un difetto.
Qatar ed Egitto: l'economia della mediazione perpetua
Vale la pena fare una domanda scomoda. Quanto guadagnano Qatar ed Egitto dall'essere mediatori perpetui in questo conflitto?
Il Qatar ospita la leadership politica di Hamas a Doha mentre mantiene sul suo territorio la più grande base militare americana del Medio Oriente. Gioca entrambi i lati dello scacchiere contemporaneamente. Ogni nuovo round di negoziati equivale a rilevanza geopolitica, leva regionale, potere morbido a livello globale.
L'Egitto controlla il valico di Rafah, l'unico punto di accesso a Gaza che non passa attraverso Israele. Ogni cessate il fuoco significa un nuovo round di negoziati su flussi di aiuti umanitari, ricostruzione, gestione delle frontiere.
Una pace vera significherebbe per entrambi la perdita di questo ruolo. Diventerebbero improvvisamente irrilevanti se Gaza si stabilizzasse davvero. Hanno esattamente l'incentivo opposto a quello che dichiarano: mantenere il conflitto mediabile ma non risolverlo mai definitivamente.
Questo è posizionamento classico nelle reti di relazioni: prosperano come ponte necessario tra l'Occidente e Hamas. Se quel ponte diventa superfluo perché le parti si parlano direttamente o perché una delle due scompare, loro perdono valore.
Nessuno sta pagando i mediatori per risolvere il problema. Li stanno pagando per mediare. È una differenza sottile ma critica che spiega perché questi cicli continuano.
Il teatro europeo della virtù senza conseguenze
Prendiamo il caso della Spagna, ma vale per metà dell'Unione Europea. Propone embargo sulle armi verso Israele mentre contemporaneamente compra da Israele tecnologia militare e software di intelligence.
Questo è l'esempio perfetto di quello che Nassim Taleb chiama assenza di conseguenze reali per le proprie decisioni. Quando non hai niente da perdere dalle tue dichiarazioni, puoi permetterti posizioni morali molto forti.
L'opinione pubblica domestica si calma perché il governo ha fatto qualcosa di visibile. Le relazioni commerciali continuano esattamente come prima perché non c'è enforcement reale. È teatro perfetto: costa zero, produce segnali di virtù per il pubblico interno, non cambia assolutamente nulla sul campo.
La Francia fa cose simili. Il Regno Unito anche. La Germania è più silenziosa ma la struttura è identica.
Quando vedi attori politici dichiarare posizioni forti senza meccanismi di applicazione reali o costi concreti, sai che è una performance per l'audience domestica, non politica estera seria.
Il design fragile che garantisce matematicamente il collasso
Questi cessate il fuoco hanno tutti un'architettura identica, e non è un caso. Tre fasi da quarantadue giorni ciascuna. La prima fase ha dettagli specifici: tot ostaggi in cambio di tot prigionieri. La seconda fase sarà da negoziare durante la prima fase. La terza fase prevede cessazione permanente delle ostilità , dettagli da definire.
Questo setup garantisce il breakdown in modo quasi matematico. Perché? Perché ogni fase successiva richiede una nuova negoziazione quando gli attori coinvolti hanno meno pressione per raggiungere un accordo rispetto all'inizio.
La prima fase ha urgenza reale: ci sono ostaggi da liberare, morti che continuano, opinione pubblica in subbuglio. Ma quando arrivi alla seconda fase, quella pressione è già calata drasticamente. I media si sono spostati su altro, l'opinione pubblica respira, gli ostaggi più urgenti sono già stati liberati.
Risultato inevitabile: diventa impossibile trovare un accordo sulla seconda fase perché nessuno ha più un incentivo abbastanza forte per fare i compromessi necessari.
Se davvero volessi costruire una pace che duri, faresti esattamente il contrario. Un accordo unico dove tutto succede simultaneamente, nessuna fase, nessun ciclo di rinegoziazione possibile. Tutti gli ostaggi e tutti i prigionieri scambiati nello stesso momento, con garanzie internazionali credibili e costi reali per chi viola.
Ma nessuno propone mai questa struttura. Perché tutti gli attori coinvolti sanno perfettamente che un approccio a fasi multiple fallirà . Ed è proprio questo il punto.
L'analogia storica che funziona davvero
Questo conflitto non assomiglia al Vietnam, dove gli Stati Uniti cercavano disperatamente una via d'uscita. Non assomiglia nemmeno agli accordi di Minsk in Ucraina, dove la Russia giocava tempo per riarmarsi prima dell'invasione completa.
Assomiglia molto di più all'armistizio coreano del 1953. Sono passati oltre settant'anni e quello è ancora un armistizio, mai diventato pace definitiva. Perché? Perché troppi attori traggono beneficio dallo status quo.
La Cina vuole uno stato cuscinetto. Gli Stati Uniti vogliono mantenere truppe in Corea del Sud. La leadership nordcoreana prospera sulla narrativa della minaccia esterna. La Corea del Sud ha costruito la sua economia moderna proprio su quella tensione permanente.
È uno stallo profittevole perfetto: abbastanza instabile da giustificare spese militari e posture politiche aggressive, abbastanza stabile da non degenerare in guerra totale.
Gaza sta diventando esattamente questo per il Medio Oriente. Un conflitto congelato che genera entrate ricorrenti, diplomatiche, militari e mediatiche, per tutti gli attori coinvolti.
Perché Gaza e non lo Yemen o il Sudan
Vale la pena chiedersi: perché Gaza domina i titoli dei giornali mentre lo Yemen con oltre quattrocentomila morti, il Sudan con oltre cinquecentomila morti, o il Myanmar semplicemente spariscono dalla copertura mediatica?
Non è solo una questione di numeri assoluti. È una questione di quello che si può riprendere con le telecamere. Gaza è guerra urbana con smartphone, telecamere ovunque, social media attivi. Ogni attacco aereo viene documentato. Ogni morte civile ha un video. È contenuto pronto per diventare virale.
Lo Yemen è prevalentemente rurale, senza giornalisti occidentali, senza qualità delle riprese che funziona sui media. Il Sudan è troppo complicato per una narrativa semplice che la gente possa seguire. Il Myanmar ha zero prossimità con l'Occidente.
Gaza ha anche qualcosa di unico: quella che possiamo chiamare l'economia dello spazio sacro. Gerusalemme è una risorsa simbolica a somma zero. Se uno la controlla, l'altro la perde. Non puoi dividere il capitale simbolico come divideresti un territorio fisico.
Questo crea un'intensità emotiva che altri conflitti, anche molto più mortali in termini assoluti, non riescono a generare nelle audience occidentali. È la combinazione di visibilità mediatica e significato simbolico che rende Gaza diverso.
Quello che non dovresti fare se davvero volessi la pace
Nassim Taleb ha un principio che chiama via negativa: è più facile sapere cosa non fare che sapere cosa fare. Applicato a questa situazione, diventa cristallino.
Non fare cessate il fuoco a fasi multiple con dettagli da definire in seguito. Non usare mediatori che traggono beneficio dal conflitto perpetuo. Non fare scambi graduali che mantengono la leva negoziale attiva per mesi. Non permettere cicli di rinegoziazione tra una fase e l'altra. Non accettare la cessazione permanente come una vaga promessa futura.
Se davvero volessi costruire qualcosa che duri, faresti tutto simultaneamente. Tutti gli ostaggi e tutti i prigionieri scambiati nello stesso momento. Parti terze che garantiscono con costi reali se l'accordo fallisce. Un accordo unico senza fasi. Mediatori che hanno conseguenze concrete se tutto collassa.
Ma questo non succederà mai. Perché richiederebbe che qualcuno tra gli attori principali voglia davvero risolvere la situazione. E nessuno dei giocatori chiave lo vuole.
La verità che nessuno vuole ammettere
Quello che stiamo osservando non è un conflitto che cerca una risoluzione. È un mercato che funziona.
Hamas vende ostaggi, tempo, terrore, prova della propria esistenza. Israele compra una narrativa di sicurezza, tempo politico per Netanyahu. Gli Stati Uniti comprano leva sul Medio Oriente e vendono l'immagine del mediatore di pace. I mediatori vendono accesso, legittimità , rilevanza continua. L'Europa vende segnali di virtù alle proprie popolazioni.
Il cessate il fuoco è un prodotto ricorrente, non una soluzione. Funziona esattamente come l'economia degli abbonamenti: nessuno vuole che tu compri una volta sola e risolvi il problema per sempre. Vogliono che tu resti nel ciclo, che rinnovi ogni sei o dodici mesi.
Il collasso non è il fallimento del sistema. È esattamente come il sistema è stato progettato per funzionare.