Il gioco di Trump e la risposta dell'Europa

by Rollo


Il gioco di Trump e la risposta dell'Europa

La visita di Donald Trump nel Regno Unito, con la promessa di investimenti da 10 miliardi di dollari, ha catturato l'attenzione dei media per i numeri impressionanti. Ma concentrarsi solo sull'aspetto economico significa perdere di vista la vera partita che si sta giocando: una riconfigurazione strategica delle alleanze occidentali che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici per i prossimi decenni.

La mossa di Trump: dividere per regnare

Quello che Trump sta orchestrando non è diplomazia tradizionale ma una sepcie di behavioral engineering su scala continentale. La strategia è elegante nella sua semplicità: creare un sistema di incentivi dove le nazioni europee vedano chiari vantaggi nel bypassare Bruxelles e lavorare direttamente con Washington.

Il Regno Unito non è semplicemente il beneficiario di un investimento generoso. E' il caso studio che Trump vuole mostrare al resto d'Europa. Il messaggio implicito è cristallino: "Guardate cosa succede quando lavorate direttamente con noi invece che attraverso la burocrazia di Bruxelles."

Questa non è una tattica improvvisata. Trump sta sistematicamente ingegnerizzando un nuovo schema per le relazioni America-Europa, dove i rapporti bilaterali vengono premiati rispetto all'integrazione multilaterale. Ogni accordo diretto, ogni investimento annunciato, ogni foto opportunità diventa un demonstration effect per gli altri leader europei.

La posizione impossibile dell'Europa

L'Unione Europea si trova in quello che gli strategisti chiamano un double bind, cioè una situazione dove ogni mossa possibile può essere usata dall'avversario a proprio vantaggio. Le opzioni di risposta sono tutte problematiche:

Punire il Regno Unito significherebbe confermare la narrativa di Trump che l'UE è un'entità "punitiva" che limita la sovranità nazionale. Ignorare completamente la strategia americana permetterebbe al modello di consolidarsi senza resistenza. Competere offrendo accordi migliori ai propri membri equivarrebbe a legittimare la logica del "bypass Bruxelles".

Ma c'è un problema più profondo nella risposta europea: l'architettura istituzionale dell'UE è strutturalmente inadatta a questo tipo di competizione strategica. Mentre Trump può decidere e implementare in settimane, l'Europa opera su cicli di consultazione e approvazione che richiedono mesi o anni.

Il vero problema: l'Europa che guarda dentro invece che fuori

La disconnessione più grave non è quella tra Bruxelles e Washington, ma quella tra le istituzioni europee e i cittadini europei. Mentre Trump ridisegna l'architettura delle alleanze occidentali, l'UE sembra concentrata su questioni che, per quanto importanti dal punto di vista tecnico, appaiono irrilevanti rispetto alle sfide geopolitiche globali.

Regolamentazioni sui cookie digitali, discussioni infinite sulla forma delle banane, dibattiti bizantini sui parametri di bilancio e tutto questo mentre la Cina espande la sua influenza globale, la Russia destabilizza i confini europei e Trump offre alternative concrete ai partner europei più dinamici.

La concentrazione verso l'interno dell'Europa non è accidentale: è il risultato naturale di un'architettura istituzionale che premia la gestione interna piuttosto che la leadership strategica. Bruxelles è diventata eccellente nel garantire il rispetto delle norme, ma ha perso la capacità di creare vantaggi concreti per l'Europa sulla scena mondiale.

Le conseguenze della persistenza istituzionale

Quello che l'Europa chiama "resilienza" potrebbe essere più accuratamente definito come persistenza istituzionale. La strategia sembra essere: mantenere l'architettura attuale in attesa che l'America torni a preferire partner multilaterali.

Questa strategic patience ha un problema fondamentale: ignora completamente la crescente disconnessione popolare dalle istituzioni europee. Ogni sondaggio mostra cittadini europei sempre più scettici verso Bruxelles, sempre più attratti da leader nazionali che promettono di "riprendere il controllo" dalle burocrazie sovranazionali.

Il paradosso è che più l'UE si concentra sulla purezza delle proprie procedure interne, più diventa politicamente vulnerabile nei singoli Paesi membri. E più diventa vulnerabile internamente, più i leader nazionali sono tentati dalle alternative che Trump - o altri attori globali - possono offrire.

Il ciclo mortale della rilevanza decrescente

Si sta creando un ciclo di feedback negativo che potrebbe essere fatale per il progetto europeo:

  • L'UE si concentra su questioni interne e procedurali I cittadini percepiscono l'Europa come distante dai loro problemi reali
  • I leader nazionali guadagnano consenso opponendosi a Bruxelles
  • Gli attori esterni (come Trump) sfruttano queste divisioni L'UE reagisce irrigidendosi ulteriormente sulle proprie procedure
  • Questo ciclo non si fermerà da solo. Ogni tentativo dell'UE di "disciplinare" i membri ribelli alimenta la narrativa nazionalista.
  • Ogni concessione alla logica dei rapporti bilaterali indebolisce l'architettura multilaterale.

La domanda strategica fondamentale

Trump ha capito una verità scomoda: l'Europa di oggi è più preoccupata di essere istituzionalmente corretta che strategicamente efficace. Ha costruito la sua strategia su questa debolezza, offrendo ai partner europei quello che Bruxelles non può dare: decisioni rapide, benefici tangibili, flessibilità operativa.

La vera questione non è se Trump abbia ragione o torto nei suoi metodi. La questione è se l'Europa può re-ingegnerizzare se stessa per diventare strategicamente rilevante nel mondo che si sta formando, o se la sua architettura istituzionale la condanna a rimanere un' ente regolatore e normativo mentre altri giocano il vero gioco geopolitico.

La scelta dell'Europa

L'Europa si trova a un momento di verità. Può continuare a operare con la mentalità da "ingegneri istituzionali", perfezionando procedure interne mentre il mondo cambia intorno a lei. Oppure può riconoscere che l'agilità strategica è diventata più importante della institutional purity.

La prima opzione garantisce coerenza interna ma rischia l'irrilevanza globale. La seconda richiede un ripensamento fondamentale di come l'Europa si organizza e opera, ma offre la possibilità di rimanere un attore principale sulla scena mondiale.

La domanda per i voi è semplice ma cruciale: credete che l'Europa stia facendo la scelta giusta puntando sulla persistenza istituzionale, o dovrebbe rischiare una trasformazione più radicale per rimanere competitiva nel nuovo scenario geopolitico?

La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro dell'integrazione europea, ma anche gli equilibri di potere globali per i prossimi decenni. E il tempo per decidere si sta esaurendo rapidamente.