Il mercoledì degli sconti e la paura di svanire

by Rollo


Il mercoledì degli sconti e la paura di svanire

Mercoledì mattina, ore 10:30., un Carrefour qualunque. Entro per comprare quattro cose veloci e mi ritrovo in mezzo a una scena che sembra uscita da un film di David Lynch. Decine di pensionati si muovono in slow motion tra gli scaffali, carrelli stracarichi che guidano come se fossero carri armati, code infinite alle casse dove ogni transazione diventa un'epopea di monetine e scontrini controllati tre volte.

Il mercoledì è il giorno degli sconti. Il 10% che per alcuni fa la differenza tra permettersi o no quel pezzo di formaggio buono, quella confezione di biscotti che normalmente costa troppo. Li guardo e penso: "Cazzo, io non voglio diventare così."

Ma mentre osservo questa danza surreale di carrelli enormi guidati da corpi sempre più piccoli, mi rendo conto che non è il loro essere anziani che mi turba. È altro. È qualcosa di molto più sottile e terrificante.

La scomparsa del mondo condiviso

Quello che davvero mi colpisce è la loro totale inconsapevolezza di esistere in un mondo condiviso. Cambiano direzione senza guardare, si fermano nel mezzo del corridoio per studiare un'etichetta mentre dietro di loro si forma un ingorgo umano, parlano a voce alta di malattie e medicine ignorando completamente chiunque altro.

È come se il mondo fosse diventato un'estensione del loro salotto. Come se gli altri fossero scomparsi. Come se l'unica realtà che conta fosse quella bolla di tre metri quadrati che li circonda.

E qui arriva la rivelazione che mi terrorizza: "non è l'invecchiare che fa paura, è lo smettere di essere consapevoli di sé nel contesto."

Questi pensionati non sono "rincoglioniti" perché vecchi. Sono inconsapevoli perché hanno smesso di chiedersi: "Come sto influenzando l'ambiente intorno a me?"

Il pattern universale dell'inconsapevolezza

Mentre guido verso casa, inizia a emergere un pattern che mi agita ancora di più. Perché questa inconsapevolezza non è prerogativa dell'età. L'ho vista in ogni settore in cui ho lavorato, a ogni livello, in ogni fascia d'età.

Il manager di quarant'anni che monopolizza le riunioni senza accorgersi che ha perso l'attenzione della sala venti minuti fa. Il genitore trentenne che parla solo dei propri figli, trasformando ogni conversazione in un monologo sui progressi di Tommaso alle medie. L' "esperto" cinquantenne che spiega senza mai ascoltare, convinto che la sua esperienza sia l'unica bussola necessaria.

E poi c'è il social media user di tutte le età che condivide solo autoreferenzialità, convinto che la sua colazione, le sue riflessioni random e le sue foto dello specchio siano contributi significativi al dibattito mondiale.

La vera senilità non è fisica. È l'interruzione del dialogo con il mondo. È quando smetti di percepire il feedback che l'ambiente ti manda continuamente e ti chiudi in un loop autoreferenziale.

La trappola dell'esperienza

A 62 anni, sono tecnicamente uno di loro. Un pensionato intendo. Praticamente in pensione, con più tempo libero che impegni urgenti. Ho passato oltre trent'anni a cambiare settori, a sfidare me stesso, a restare curioso. Ho fondato startup, imparato nuove discipline, mi sono rimesso in gioco ogni volta che iniziavo a sentirmi troppo esperto.

Ma il mercoledì al Carrefour mi ricorda che l'esperienza può essere una trappola. Che puoi svegliarti un mattino e scoprire che sei diventato esattamente quello che giuravi di non diventare mai.

Il paradosso è che dopo decenni di vita professionale, hai visto talmente tanto che rischi di pensare di aver già visto tutto. Smetti di fare domande perché credi di conoscere già le risposte. Smetti di osservare perché pensi di aver già osservato abbastanza.

Quegli anziani al supermercato non sono nati inconsapevoli. Sono diventati così. Probabilmente a piccoli passi, giorno dopo giorno, smettendo di notare una cosa alla volta. Prima gli sguardi degli altri, poi i loro tempi, poi le loro esigenze. Fino a diventare isole di abitudine in un mare di indifferenza.

Catalizzatore o peso del sistema

Quello che davvero mi terrorizza non è invecchiare. È diventare banale. È quella trasformazione impercettibile che ti porta a vestire come Fantozzi, a parlare solo di acciacchi e offerte speciali, a muoverti nel mondo come se fossi l'unico personaggio importante della tua storia.

Io voglio invecchiare mantenendo quella curiosità fastidiosa che mi fa sempre domandare: "Sto arricchendo questo momento o lo sto impoverendo?" Non voglio diventare un peso per il sistema. Voglio continuare a essere un catalizzatore.

Un catalizzatore è qualcosa che accelera una reazione senza consumarsi. È presente, attivo, ma non invasivo. Facilita i processi invece di rallentarli. Arricchisce l'ambiente invece di impoverirlo.

Il peso, invece, è qualcosa che tutti devono sopportare. Che rallenta i processi, che consuma energia senza restituirne, che prende spazio senza aggiungere valore.

La domanda che mi fa paura

Forse il nemico non è l'età ma l'autocompiacimento. Quella sensazione sottile che ti sussurra che ormai hai fatto abbastanza, imparato abbastanza, rischiato abbastanza. Che adesso puoi permetterti di rilassarti e goderti quello che hai costruito.

Ma "rilassarsi" e "spegnersi" a volte sono la stessa cosa. E quando ti accorgi che stai scivolando verso l'inconsapevolezza, potrebbe essere già troppo tardi per tornare indietro.

Ogni volta che mi sento troppo sicuro di quello che so, ogni volta che una nuova tecnologia mi sembra "roba da giovani", ogni volta che una prospettiva diversa mi infastidisce invece di incuriosirmi, sento suonare un campanello d'allarme. È il segnale che sto diventando un peso invece che un catalizzatore.

Il dialogo continuo con il mondo

Non so se esiste un antidoto garantito contro la fossilizzazione. Ma sospetto che abbia a che fare con il mantenere viva la curiosità, anche quando costa fatica. Con il continuare a porsi domande scomode, anche quando le risposte facili sono a portata di mano.

Significa soprattutto ricordare che gli altri esistono. Che il mondo non è un'estensione del mio salotto. Che la mia storia è solo una delle tante che si intrecciano ogni giorno, anche al Carrefour del mercoledì mattina.

Significa mantenere quel dialogo continuo con l'ambiente, quella consapevolezza del feedback che ricevo, quella capacità di adattarsi senza perdere la propria identità.

Probabilmente tornerò a fare la spesa il mercoledì. Ma con la speranza di non dimenticare mai che dietro di me c'è qualcuno che ha fretta, che intorno a me ci sono persone con le loro storie, che davanti a me c'è ancora molto da imparare.

Anche se ho 62 anni. Anche se sono quasi in pensione. Anche se potrei permettermi di rilassarmi un po'.

Forse è proprio quando puoi permettertelo che devi guardarti di più.

Una paura autentica da condividere

Mentre scrivo queste righe, mi chiedo quanti di voi abbiano questa stessa paura autentica di diventare inconsapevoli. Di trasformarsi lentamente in quegli anziani del Carrefour, o in quei manager che monopolizzano le riunioni, o in quei genitori che parlano solo dei propri figli.

La paura di smettere di essere un contributo positivo al mondo che ci circonda. Di diventare rumore invece che segnale. Di perdere quella scintilla di curiosità che ci mantiene vivi dentro.

Se anche voi avete questa paura, forse è un buon segno. Significa che siete ancora consapevoli. Che il dialogo con il mondo non si è ancora interrotto.

Significa che c'è ancora speranza di invecchiare bene. Consapevolmente.