L'Europa alla prova del '30

E' stata una settimana che assomiglia a tutte le transizioni fallite che ho visto in quarant'anni: dichiarazioni di intenti ambiziose, meccanismi decisionali che garantiscono il fallimento, e un divario tra comportamento dichiarato e incentivi effettivi che un bambino di sei anni capirebbe.
La settimana del 20 al 26 ottobre 2025 sarà ricordata come il momento in cui l'Unione Europea ha deciso formalmente di diventare una potenza geopolitica. La tabella di marcia sulla prontezza difensiva fino al 2030, approvata il 16 ottobre e discussa al Consiglio Europeo del 23: quattro progetti emblematici (sorveglianza del fianco orientale, difesa europea dai droni, scudo aereo europeo, scudo spaziale europeo), nove coalizioni per le capacità , obiettivi di spesa che passano da 218 miliardi di euro nel 2021 a 392 miliardi nel 2025, con un impegno ad arrivare fino a 800 miliardi. Il programma per rilanciare l'Europa approvato il 20 ottobre per eliminare completamente gas e petrolio russi entro il 2027. Utilizzo degli asset russi congelati per supportare l'Ucraina (14 miliardi già erogati nel 2025 dai profitti straordinari). Tutto sulla carta sembra il momento dell'indipendenza europea, come recita il titolo del programma di lavoro 2026 della Commissione presentato il 21 ottobre.
Ma quando hai passato decenni a progettare sistemi organizzativi e a gestire transizioni tecnologiche dirompenti, impari a guardare oltre le dichiarazioni. Impari a osservare la struttura degli incentivi, l'architettura decisionale, e soprattutto il divario tra quello che gli attori dicono e quello che effettivamente fanno. E quello che vedo questa settimana non è un momento di indipendenza: è un caso da manuale di progettazione sistemica che contiene al suo interno i meccanismi strutturali del proprio fallimento.
Il paradosso energetico di quando i numeri smascherano le narrazioni
Partiamo dal più evidente. Il 20 ottobre, il Consiglio Energia approva il piano per rilanciare l'Europa: eliminazione completa del gas e petrolio russo entro il 2027, divieto sul gas naturale liquefatto russo. La narrativa è sicurezza energetica, riduzione del rischio dalla dipendenza russa, autonomia strategica.
Ora guardiamo i dati effettivi: nei primi otto mesi del 2025, le entrate totali della Russia dalle forniture di gas all'Unione Europea sono aumentate del 7,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024. Non diminuite: aumentate. E questo nonostante già due anni e mezzo di pacchetti di sanzioni e dichiarazioni roboanti su uscite imminenti.
Questo non è un dettaglio tecnico: è economia comportamentale di base. Quando c'è un divario così evidente tra comportamento dichiarato e comportamento effettivo, significa che gli incentivi reali sono altrove. L'industria tedesca ha ancora bisogno di quel gas per non collassare. I consumatori europei non sono disposti a pagare bollette energetiche triplicate. E quindi, nonostante le dichiarazioni, i contratti continuano, i gasdotti funzionano, il denaro fluisce a Mosca.
Chiamiamolo errore di pianificazione: la sistematica sottostima di quanto tempo e risorse servono per cambiare un sistema complesso. Ma c'è di più: è anche un classico esempio di falsificazione delle preferenze, come teorizzato da Timur Kuran. Tutti pubblicamente sostengono l'uscita, nessuno privatamente è disposto a pagarne il costo. E quando le preferenze private divergono dalle dichiarazioni pubbliche su larga scala, il sistema produce risultati diversi dalle intenzioni dichiarate. Sempre.
Ho visto questo schema decine di volte nella transizione dal cinema analogico al digitale negli anni Novanta. Tutti dichiaravano di voler abbracciare il digitale, nessuno voleva davvero sostenere i costi di conversione. Il risultato? Ritardi sistematici, attuazione a metà e alla fine una transizione imposta dall'esterno quando il sistema analogico collassò da solo.
L'Unione Europea sta facendo la stessa cosa con l'energia russa: dichiara uscita nel 2027, ma la struttura degli incentivi garantisce che nel 2027 sarà ancora lì a comprare gas russo, magari triangolato attraverso altri paesi, con qualche meccanismo contabile che permetta di dire tecnicamente non lo compriamo più direttamente.
L'architettura della paralisi. ovvero quando la progettazione del meccanismo garantisce il fallimento
Ma il vero problema sistemico non è l'energia: è la struttura decisionale dell'Unione Europea stessa. E qui diventa interessante per chi si occupa di architettura dei sistemi e teoria dei giochi.
L'Unione Europea è un sistema a 27 membri con decisioni chiave che richiedono unanimità . Questo significa che un singolo attore con interessi divergenti può bloccare l'intero sistema. Nulla più di un classico problema di azione collettiva con progettazione del meccanismo fallita: il sistema di governance richiede unanimità in contesti dove gli interessi sono strutturalmente divergenti.
Viktor Orbán lo ha capito perfettamente. E sta giocando una partita di negoziazione con leva da manuale.
Tempismo perfetto: elezioni ungheresi previste per aprile 2026. Organizza la consultazione popolare nazionale 2025, una consultazione pubblica manipolabile, basso tasso di partecipazione (29 per cento di chi votò alle europee 2024), ma che produce il risultato voluto: 95 per cento degli ungheresi contro l'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea. Ora ha un mandato democratico per bloccare qualsiasi progresso sull'Ucraina.
Al Consiglio Europeo del 23 ottobre, mentre 26 paesi firmano dichiarazioni di supporto all'Ucraina, l'Ungheria semplicemente non firma. E il sistema si paralizza. Non completamente: l'Unione Europea sta imparando soluzioni temporanee. Pubblicare dichiarazioni dei 26 come allegato ad altre risoluzioni, usare l'anticipazione per aprire gruppi tecnici senza formale approvazione ungherese. Ma questi sono rattoppi, non soluzioni sistemiche.
Thomas Schelling, nella sua opera sulla strategia del conflitto, descrisse perfettamente questo tipo di dinamica: quando hai un attore con potere di veto in un sistema, quell'attore può estrarre concessioni enormi semplicemente minacciando di bloccare tutto. L'Ungheria non ha bisogno di convincere nessuno: ha solo bisogno di dire no, e il sistema si ferma. Questo è potere negoziale puro, e Orbán lo sta usando magistralmente.
Il meccanismo è identico a quello che vedevo nelle negoziazioni tra aziende negli anni Duemila: quando una singola divisione aveva potere di veto su progetti che beneficiavano l'intera organizzazione, quella divisione usava il veto non per bloccare davvero, ma per estrarre compensazioni laterali, concessioni, garanzie. Il veto diventava un bene negoziale, non un'opposizione ideologica.
Orbán sta facendo esattamente questo: usa il veto sull'Ucraina per ottenere concessioni su altri fronti (energia, procedure sullo stato di diritto, fondi europei). E finché la struttura rimane unanimità a 27, questo continuerà . La struttura incentiva il comportamento ostruzionistico.
Ora, è possibile che queste soluzioni temporanee siano segnali precoci di un sistema che sta imparando ad adattarsi? Sì. Ma la domanda cruciale è: stanno riducendo il potere negoziale dell'attore che ha il veto nel tempo, o lo aggirano temporaneamente lasciandolo intatto? Finora, Orbán mantiene potere di veto su tutto ciò che conta davvero: finanziamenti, pacchetti di sanzioni, capitoli formali di adesione. Le soluzioni temporanee funzionano per dichiarazioni simboliche, non per decisioni con denti.
Il tabù degli asset russi con la via negativa che dice più della via positiva
Poi c'è la questione degli asset russi congelati. L'Unione Europea ha già iniziato a usare 14 miliardi di euro dai profitti straordinari (interessi maturati sui oltre 300 miliardi congelati) per supportare l'Ucraina nel 2025. Ma nessuno, nessuno, parla seriamente di toccare il capitale principale, i 300 miliardi stessi.
Perché? Precedente legale. Se l'Unione Europea confisca beni sovrani russi, stabilisce un precedente per cui qualsiasi paese può confiscare beni di qualsiasi altro paese in futuro. Cina e altri stati con grandi riserve in Europa potrebbero ritirare tutto. Il sistema finanziario occidentale si basa su un presupposto fondamentale: i tuoi beni sono al sicuro, anche se i governi non vanno d'accordo.
Toccare quel capitale principale significa violare quel presupposto. E quindi, anche se 300 miliardi risolverebbero il problema finanziario ucraino per anni, nessuno li tocca. Si usano gli interessi, i profitti straordinari, perché è una via di mezzo che tecnicamente non viola il precedente.
Questa è la via negativa in azione: quello che non fai ti dice quali sono i tuoi veri vincoli sistemici. L'Unione Europea dichiara supporto totale all'Ucraina, ma non toccherà i beni russi principali perché la stabilità del sistema finanziario occidentale vale di più. Non è cinismo: è pensiero a livello di sistema. Ma rivela la gerarchia degli incentivi reali.
La difesa comune con impegni enormi, ma capacità zero
La tabella di marcia sulla prontezza difensiva fino al 2030 è impressionante sulla carta. 800 miliardi di euro, quattro progetti emblematici, nove coalizioni, obiettivo della NATO del 3,5 per cento del prodotto interno lordo entro il 2035. L'obiettivo dichiarato: l'Europa deve essere pronta entro il 2030 per scoraggiare e difendersi da qualsiasi aggressione.
Ma poi vai a vedere la struttura di attuazione. Lavoro guidato dagli stati membri, coalizioni volontarie, supporto dall'Agenzia Europea per la Difesa. In altre parole: nessuna struttura sovranazionale con vera autorità . Ogni paese decide quanto spende, su cosa, comprando da chi. Il coordinamento è incoraggiato, non imposto.
Questo è lo stesso meccanismo di progettazione fallito della Politica Agricola Comune prima delle riforme: tutti dichiarano impegno, nessuno ha vera pelle in gioco per l'applicazione. E quando hai impegni senza meccanismi di applicazione, ottieni mancato mantenimento sistematico delle promesse.
Christopher Alexander, nei suoi linguaggi di modelli, avrebbe visto immediatamente che questo non è un modello che funziona: è un modello che contiene la propria disfunzione. Per far funzionare coalizioni volontarie tra 27 paesi con interessi difensivi diversi, servirebbero:
- Coordinamento centrale forte con vera autoritÃ
- Chiaro interesse personale per chi non contribuisce
- Meccanismi di applicazione che non richiedono unanimitÃ
- Allineamento strutturale tra incentivi nazionali e obiettivi comuni
L'Unione Europea non ha nessuna di queste cose. Quindi la tabella di marcia 2030 diventerà quello che diventano tutti i piani ambiziosi senza meccanismi di applicazione: una lista dei desideri che produce mancato mantenimento sistematico delle promesse, seguito da obiettivi rivisti, scadenze estese, e alla fine una crisi che forza azione dall'esterno.
Ho visto questo film troppe volte. Quando gestivo la transizione digitale nel settore audiovisivo, ogni grande studio aveva tabelle di marcia strategiche ambiziose per il digitale. Nessuno aveva meccanismi di applicazione. Risultato? Sottoinvestimento cronico, ritardi sistematici, e alla fine rottura da attori esterni (Netflix, Amazon) che colsero l'opportunità del loro mancato mantenimento delle promesse.
Il fattore Trump
E poi c'è Trump. Questa settimana l'Unione Europea ha accolto con favore la fase uno del suo piano di pace per Gaza. Ha discusso di come rispondere alle sue minacce di dazi commerciali. Ha preso atto che le relazioni transatlantiche non sono più quelle di una volta.
Ma quello che Trump fa è semplicemente rivelare le fragilità che erano già lì. L'Unione Europea è un gigante economico (oltre 16 mila miliardi di euro di prodotto interno lordo) ma un nano politico e militare perché ha esternalizzato la propria sicurezza agli Stati Uniti da 75 anni. Quando quella garanzia diventa condizionale, pagate il 3,5 per cento o ci ritiriamo, l'intera architettura trema.
E' un verop e proprio test di antifragilità : i sistemi fragili collassano quando sottoposti a stress, i sistemi robusti resistono, i sistemi antifragili migliorano. L'Unione Europea sta scoprendo di essere nel primo campo. La sua struttura decisionale, unanimità a 27, nessuna vera autorità centrale, meccanismi di applicazione inesistenti, non è robusta. È fragile rispetto ad attori con veto interni (Orbán) e pressioni esterne (Trump, Putin).
E le decisioni di questa settimana, tabella di marcia 2030, programma per rilanciare l'Europa, beni russi, sono tutti tentativi di diventare più robusta. Ma tentativi costruiti sopra la stessa architettura fallita. È come cercare di rinforzare una casa con fondamenta marce: puoi mettere tutta la struttura in acciaio che vuoi al piano superiore, ma se le fondamenta cedono, cede tutto.
Cosa non farei
Se fossi un amministratore delegato, un membro del consiglio di amministrazione, o un consulente strategico che deve fare decisioni basandosi su questa situazione, ecco cosa non farei:
Non assumere che gli obiettivi dichiarati si realizzeranno. L'Unione Europea ha una storia di mancato mantenimento sistematico delle promesse quando gli obiettivi richiedono coordinamento volontario tra 27 paesi con interessi divergenti. La tabella di marcia 2030 subirà lo stesso destino della maggior parte delle strategie europee.
Non basare piani energetici sul presupposto che l'Europa taglierà davvero i legami con la Russia entro il 2027. I numeri mostrano che nonostante tutte le dichiarazioni, le entrate russe dal gas europeo sono salite nel 2025. Gli incentivi strutturali battono le intenzioni dichiarate. Sempre.
Non sottovalutare il potere di veto di singoli stati membri. L'architettura decisionale dell'Unione Europea garantisce che qualsiasi paese con interesse diretto possa bloccare il progresso. L'Ungheria è l'attuale collo di bottiglia, ma il problema strutturale rimane anche se Orbán perde le elezioni del 2026.
Non aspettarsi che i beni russi congelati vengano mai davvero confiscati. Verranno usati gli interessi, mai il capitale principale. Il precedente legale vale più del supporto all'Ucraina nella gerarchia sistemica.
Non credere che l'autonomia strategica europea sia raggiungibile senza riforma fondamentale della struttura di governance. Puoi dichiarare momento di indipendenza quanto vuoi: se mantieni unanimità a 27 e zero meccanismi di applicazione, rimani dipendente da chi garantisce la tua sicurezza (Stati Uniti e NATO).
Come sapremmo se mi sto sbagliando
Ora, una domanda cruciale che ogni analisi seria deve porsi: quali evidenze mi farebbero cambiare completamente questa valutazione?
Perché c'è una differenza fondamentale tra cinismo pigro e falsificazionismo clinico. Il cinismo dice: questo fallirà , come sempre. Il falsificazionismo dice: basandomi su incentivi strutturali eccetera, il risultato probabile è A. Ma se vedo segnali B, C, D, rivedo completamente. E sto attivamente cercando B, C, D, non solo confermando A.
Karl Popper ci insegnò che una teoria scientifica vale solo se è falsificabile. Lo stesso vale per l'analisi sistemica geopolitica. Quindi ecco i tre segnali concreti, misurabili, vincolati al tempo che invaliderebbero la mia analisi:
Segnale 1: impegno di capitale irreversibile con scadenze credibili (12 mesi per verificare)
Non promesse di 800 miliardi: contratti firmati per almeno 100 miliardi di euro in approvvigionamento difensivo nei prossimi 24 mesi. Approvvigionamento congiunto tra almeno 10 paesi per sistemi critici (difesa missilistica, droni, artiglieria) con un unico fornitore europeo. Costruzione iniziata su capacità produttiva specifica per la difesa che non può essere riconvertita per altri usi.
Se vedo questo nei prossimi 12 mesi, significa che l'Europa ha superato la fase dichiarazioni ed è entrata nella fase capitale irreversibile. A quel punto, anche i paesi che si avvantaggiano senza pagare sono costretti a seguire perché il sistema si sta materializzando intorno a loro.
Segnale 2: integrazione operativa reale, non solo accordi sulla carta (18 mesi per verificare)
Strutture di comando congiunte con rotazione di comandanti tra paesi diversi che operano con vera autorità . Truppe da almeno cinque paesi che operano sotto comando integrato in esercitazioni o dispiegamenti reali, non solo simbolici. Logistica condivisa e infrastruttura di manutenzione che crea interdipendenza irreversibile: se un paese si ritira, danneggia anche gli altri.
Questo è il segnale che l'integrazione difensiva è diventata realtà operativa, non solo cornice burocratica. Se Germania, Francia, Polonia e altri iniziano a integrare davvero le proprie forze con comando condiviso, l'architettura centrata sulla NATO diventa progressivamente meno rilevante.
Segnale 3: i paesi centrali che sacrificano autonomia per sovranità condivisa (24 mesi per verificare)
Germania e Francia che annunciano bilancio difensivo integrato con processo decisionale condiviso sull'approvvigionamento. Non consultazione: vera autorità condivisa. Questo significherebbe che hanno deciso che l'autonomia nazionale sulla difesa costa di più della sovranità condivisa.
Oppure: coalizioni di volenterosi che creano fatti irreversibili sul terreno. Un sottoinsieme di paesi europei (diciamo da 15 a 20) che inizia a integrarsi davvero con struttura di comando condivisa, approvvigionamento congiunto che aggira chi si avvantaggia senza pagare, e questo diventa l'architettura difensiva europea di fatto. A quel punto, l'unanimità diventa irrilevante perché il sistema è già cambiato.
Questo sarebbe identico a come l'euro si formò: non tutti i paesi europei entrarono, ma quelli che entrarono crearono una realtà che rese le altre valute progressivamente meno rilevanti per il commercio interno all'Unione Europea.
Se vedo questi tre segnali convergere nei prossimi 12 o 24 mesi, allora la pressione di Trump e Putin sta funzionando come catalizzatore per vera trasformazione. Il sistema sta diventando antifragile: sta migliorando sotto stress invece di cedere. E la mia analisi, pur corretta sul presente, era sbagliata sulla traiettoria.
Se non li vedo, la mia analisi regge: il sistema continua a dichiarare trasformazione mentre gli incentivi strutturali producono mancato mantenimento sistematico delle promesse.
Il bivio che non è un bivio, oppure sì?
L'Europa non è a un bivio nel senso tradizionale. I bivi implicano scelta consapevole. Quello che vedo è un sistema che ha già scelto implicitamente, attraverso la sua architettura di incentivi, ma continua a dichiarare pubblicamente l'opposto.
Ha scelto di continuare a comprare energia russa nonostante dichiari uscita, perché l'alternativa costa troppo. Ha scelto di mantenere una struttura decisionale che garantisce paralisi, perché la riforma richiederebbe unanimità per essere cambiata. È un sistema che contiene al suo interno il meccanismo della propria immobilità . Ha scelto di dichiarare impegni enormi sulla difesa senza creare meccanismi di applicazione, perché vera applicazione significherebbe cedere sovranità nazionale. Ha scelto di non toccare i beni russi principali, perché il sistema finanziario occidentale vale di più.
Queste non sono scelte sbagliate in senso morale: sono risultati inevitabili della struttura sistemica e degli incentivi in gioco. E finché quella struttura rimane, i risultati rimarranno gli stessi, nonostante tutte le dichiarazioni contrarie.
Ma, e questa è la parte cruciale, i sistemi complessi sotto pressione estrema possono trovare percorsi evolutivi inaspettati. Non attraverso riforma formale, ma attraverso soluzioni temporanee che diventano realtà dominante. Non attraverso decisioni unanimi, ma attraverso coalizioni di volenterosi che creano fatti irreversibili.
Quello che determinerà se l'Europa diventa davvero un polo geopolitico autonomo non sono le tabelle di marcia o i programmi di lavoro. È se emergeranno quei tre segnali che ho identificato. E io li sto monitorando attivamente, non aspettando di confermare il mio pregiudizio.
E nei prossimi 24 mesi, o vedrò questi segnali emergere, o la mia analisi reggerà . Sarò il primo a dirvi quale dei due scenari si materializza.
Perché l'unica cosa peggiore di un'analisi sbagliata è un'analisi che si rifiuta di essere testata contro la realtà . E quattro decenni di progettazione di sistemi mi hanno insegnato che la realtà è l'unico arbitro che conta.
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