L'ipocrisia letale: quando i "tolleranti" diventano carnefici

by Rollo


L'ipocrisia letale: quando i "tolleranti" diventano carnefici

Il 10 settembre 2025, mentre Charlie Kirk rispondeva a una domanda sulle sparatorie nelle scuole durante un evento alla Utah Valley University, un proiettile lo ha colpito al collo davanti a tremila studenti. È morto poco dopo, a 31 anni, lasciando una moglie e due figli piccoli.

L'omicida, Tyler Robinson, aveva inciso sui suoi bossoli messaggi come "Bella ciao" e "Hey fascist! Catch!", cioè simboli inequivocabili di un'ideologia che si definisce antifascista ma pratica metodi da squadrista.

Ma la vera tragedia non è stata l'omicidio in sé. La vera tragedia è stata quello che è successo dopo.

Il festival dell'odio "progressista"

Mentre i leader democratici rilasciavano le rituali condanne di circostanza con Obama, Sanders, Harris che recitavano la solita litania su "violenza inaccettabile" e "valori americani", sui social network esplodeva una festa macabra.

Migliaia di account Twitter con arcobaleni nelle bio e pronomi nella descrizione che celebravano la morte di un padre di famiglia. Meme sarcastici. Battute ciniche. Emoji di festa. "One less fascist" era tra i trending topic più popolari.

La comunità LGBTQ+,  quella che predica inclusione e compassione, ha prodotto alcuni dei commenti più violenti e disumani. Attivisti antifascisti che esultavano per un omicidio politico come se fosse la liberazione di Parigi. E qui emerge il primo insight clinico: non esiste ipocrisia più tossica di quella che si traveste da virtù morale.

L'anatomia del fanatismo "progressista"

Quello a cui stiamo assistendo non è progressismo. È fanatismo religioso travestito da giustizia sociale. E come ogni fanatismo religioso, divide il mondo in credenti e infedeli, in puri e impuri, in salvati e dannati.

Charlie Kirk era un "dannato", conservatore, trumpiano, cristiano evangelico. Nel sistema di credenze woke, non era più un essere umano con opinioni diverse. Era un nemico ontologico, un cancro da rimuovere, un'incarnazione del Male Assoluto.

Questa è la meccanica psicologica del fanatismo: la disumanizzazione del diverso come prerequisito per la violenza.

I nazisti non si svegliavano pensando "oggi ammazziamo degli esseri umani". Si svegliavano pensando "oggi eliminiamo dei parassiti". I comunisti non mandavano "persone" al gulag, mandavano "nemici del popolo". Gli integralisti islamici non uccidono "civili", uccidono "infedeli".

E i progressisti non festeggiano per la morte di "una persona con idee diverse". Festeggiano per l'eliminazione di un "fascista".

La logica è identica. Solo il linguaggio cambia. Potenza della retorica.

Il paradosso dell'intolleranza tollerante

Karl Popper formulò il "paradosso della tolleranza": una società tollerante deve essere intollerante verso l'intolleranza, altrimenti rischia di essere distrutta dagli intolleranti.

È un ragionamento seducente che è diventato il mantra del progressismo contemporaneo. Il problema è chi decide cosa costituisce "intolleranza".

Nella pratica, tutto quello che sfida la narrativa progressista diventa automaticamente "intolleranza". Questionare le politiche sull'immigrazione? Intolleranza. Avere dubbi sulla transizione di genere per minori? Transfobia. Criticare certe politiche identitarie? Razzismo sistemico.

Il risultato è un sistema dove i più intolleranti sono proprio quelli che si definiscono paladini della tolleranza.

Prendiamo un dato empirico: negli ultimi cinque anni, quanti eventi conservatori sono stati cancellati dalla violenza progressista versus quanti eventi progressisti sono stati cancellati dalla violenza conservatrice? Il rapporto è circa 50 a 1.

Chi sono i veri autoritari? Quelli che organizzano dibattiti pubblici dove invitano tutti a confrontarsi, come faceva Kirk con i suoi "Prove Me Wrong" tables? O quelli che impediscono fisicamente ai loro avversari di parlare accudansoli di essere fasciti e populisti?

La macchina della disumanizzazione

Il progressismo contemporaneo ha perfezionato una macchina della disumanizzazione che funziona attraverso escalation semantica:

Fase 1: Etichettatura Chiunque dissenta viene etichettato con termini che lo collocano automaticamente nel campo del Male Assoluto. Non sei "conservatore", sei "fascista". Non sei "tradizionalista", sei "nazista". Non questionando una politica, "odi" una categoria di persone.

Fase 2: Amplificazione Le piattaforme social amplificano queste etichette attraverso algoritmi che premiano l'engagement emotivo. L'odio genera più click dell'argomentazione razionale e quindi si crea un circolo vizioso che ha come solo scopo quello di aumentare l'engagement ed il traffico, a scapito di ogni altra argomentazione.

Fase 3: Deplatforming Una volta che qualcuno è stato etichettato come "fascista", diventa legittimo rimuoverlo dalle piattaforme, impedirgli di lavorare, boicottare le sue attività. "Non bisogna dare voce ai nazisti."

Fase 4: Violenza Il passaggio alla violenza fisica diventa quasi naturale. Se qualcuno è letteralmente Hitler, ucciderlo non è omicidio, è resistenza eroica.

Il test dell'inversione

Ecco un esercizio di thought experiment che rivela l'ipocrisia del sistema:

Immaginate che un attivista progressista di 31 anni, padre di due figli, venisse assassinato durante una conferenza universitaria da un giovane di estrema destra che aveva inciso sui proiettili slogan come "America First" e "Make America Great Again".

Quale sarebbe stata la reazione?

Settimane di copertura mediatica H24. Speciali televisivi sul "clima di odio" creato dalla destra. Richieste di censura per tutti i media conservatori. Accuse dirette a Trump di aver "causato" l'omicidio con la sua "retorica violenta". Manifestazioni in tutte le città. Hollywood che dedica i prossimi Oscar alla vittima.

E sui social? Zero celebrazioni. Anzi, chiunque avesse anche solo suggerito che "se l'era cercata" sarebbe stato immediatamente bannato e etichettato come complice morale.

Ma quando la vittima è Charlie Kirk? Silenzio assordante. Anzi, fastidio per il fatto che la sua morte stia "distraendo" da questioni più importanti.

Il test dell'inversione non mente mai. Rivela sempre i veri valori di un sistema. E mi permetto di rie che in questo caso non sono condivisibili.

L'ingegneria del consenso

C'è una ragione strutturale dietro questa asimmetria. Il progressismo contemporaneo ha conquistato le istituzioni che controllano il discorso pubblico: università, media mainstream, big tech, entertainment industry.

Questo gli permette di operare quello che possiamo chiamare "ingegneria del consenso": la capacità di definire cosa è socialmente accettabile dire, pensare e sentire.

Quando un conservatore viene assassinato, l'ingegneria del consenso si attiva per minimizzare, contestualizzare, spostare l'attenzione. "Era un estremista." "Aveva detto cose terribili." "Bisogna capire la frustrazione di chi l'ha ucciso." "La vera violenza è quella strutturale del sistema capitalista."

Quando un progressista viene attacato, l'ingegneria del consenso si attiva per amplificare, drammatizzare, attribuire responsabilità sistemiche. "È colpa del clima di odio." "La destra sta radicalizzando i suoi seguaci." "Questo è il risultato inevitabile della retorica fascista." 

Questo gli permette di operare quello che Edward Bernays chiamava esplicitamente 'engineering of consent' e che Gramsci teorizzava come 'egemonia culturale': la capacità di definire cosa è socialmente accettabile dire, pensare e sentire. E potrei continuare citando Chomsky, Lippmann ed Ellul, che sono tutti "padri" della propaganda.

Il costo della dissonanza cognitiva

Ma mantenere questa doppia morale ha un costo psicologico. Richiede livelli di dissonanza cognitiva che alla fine corrodono l'integrità mentale.

Per giustificare la celebrazione della morte di Kirk, i progressisti devono convincersi che:

  1. Kirk non era realmente umano, ma un'incarnazione del male
  2. La sua morte salverà altre vite (logica del "trolley problem")
  3. Chi si oppone a questa interpretazione è complice del fascismo
  4. L'omicidio è in realtà un atto di legittima difesa preventiva

Questi sono meccanismi psicologici identici a quelli utilizzati da ogni regime totalitario della storia per giustificare i propri crimini. La differenza è che oggi questi meccanismi operano in una democrazia formale, il che li rende più sottili ma non meno pericolosi.

Dove porta questa strada

La logica della disumanizzazione politica ha sempre un'escalation prevedibile:

Prima si normalizza la violenza verbale ("punch a Nazi"). Poi si giustifica la violenza economica (deplatforming, boicottaggi). Poi si tollera la violenza fisica (attacchi durante manifestazioni). Infine si celebra la violenza letale (omicidi politici).

Siamo all'ultimo stadio.

E quando una società raggiunge il punto in cui una parte significativa della popolazione celebra l'omicidio politico dei propri avversari, quella società è già morta. Sta solo aspettando che qualcuno se ne accorga.

La vera resistenza

Di fronte a questa deriva, qual è la resistenza possibile?

Non è quella di rispondere con la stessa violenza. Non è quella di creare specchi rovesciati dello stesso fanatismo.

La vera resistenza è mantenere la propria umanità mentre altri la perdono. È rifiutarsi di disumanizzare anche chi ti disumanizza. È continuare a vedere persone dove altri vedono nemici ontologici.

È chiamare le cose con il loro nome: quello che sta succedendo non è progressismo, è fanatismo religioso travestito. Non è antifascismo, è fascismo con le migliori intenzioni. Non è giustizia sociale, è vendetta tribale.

E soprattutto, è riconoscere che chi festeggia per la morte di un padre di famiglia perché aveva opinioni politiche diverse ha perso ogni diritto morale di definirsi civile, tollerante o progressista.

Charlie Kirk è morto. Ma con lui sta morendo anche l'idea che sia possibile un confronto civile in una democrazia pluralista. Se non invertiamo questa rotta, il prossimo cadavere potrebbe essere la democrazia stessa. E a quel punto, non ci sarà più nessuno da festeggiare.