La direttiva europea che vuole salvare il pianeta

Quando il capo di ExxonMobil dice che una legge europea potrebbe costringerlo a uscire dall'Europa dopo 135 anni di presenza, la narrativa immediata è semplice: multinazionale petrolifera cattiva contro regolamentazione ambientale buona. Ma sotto questa superficie c'è un gioco molto più sofisticato, e molto più cinico, che vale la pena anatomizzare.
La legge in questione si chiama Direttiva sulla Due Diligence di Sostenibilità Aziendale, entrata in vigore a luglio 2024. Sulla carta, chiede alle grandi aziende di identificare e mitigare gli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente lungo tutta la loro catena di fornitura globale. Suona ragionevole, quasi banale. Il problema emerge quando leggi le clausole operative: le aziende devono monitorare ogni anello della catena produttiva mondiale, adottare piani di transizione climatica allineati all'obiettivo di 1,5 gradi dell'Accordo di Parigi, e se falliscono rischiano multe fino al 5% del fatturato globale.
Quel "globale" è la chiave. Non il 5% dei profitti europei, non il 5% del fatturato generato nell'Unione Europea. Il 5% di tutto quello che fatturi nel mondo, calcolato su operazioni che magari non toccano mai il territorio europeo. Per un colosso come ExxonMobil, con circa 350 miliardi di dollari di fatturato annuo, significa rischiare 17,5 miliardi di multa. Non per quello che fai in Europa, ma per quello che l'Europa decide tu debba fare ovunque operi.
Il meccanismo sotto la superficie
Quando vedi una legge che si presenta come soluzione a un problema legittimo ma crea incentivi che puntano altrove, devi chiederti: chi beneficia davvero? Non in senso complottista, ma in senso strutturale. Quali attori traggono vantaggio sistemico da questo assetto?
Primo beneficiario: l'industria della consulenza. Le grandi società di revisione fatturerebbero miliardi vendendo servizi di conformità normativa a aziende che non hanno idea di come mappare una catena di fornitura globale. Secondo: le agenzie di valutazione della sostenibilità , che vedono crearsi un mercato prigioniero per i loro servizi. Terzo: la burocrazia di Bruxelles stessa, che espande potere, budget e personale ogni volta che aggiunge un livello di regolamentazione.
Chi paga? Le multinazionali attraverso le multe, i consumatori finali attraverso i costi maggiorati che verranno scaricati a valle, e i paesi extra-europei che vedranno ridursi gli investimenti. È un classico schema dove i benefici sono concentrati e visibili, i costi diffusi e invisibili. Questo non è teoria della cospirazione, è economia istituzionale di base: le burocrazie non esistono per risolvere problemi, esistono per autoriprodursi.
L'analogia storica che illumina tutto
C'è un precedente quasi perfetto per capire questo gioco: il Consenso di Washington degli anni Ottanta e Novanta. Allora erano gli Stati Uniti e il Fondo Monetario Internazionale a imporre "buona governance" ai paesi in via di sviluppo. Programmi di aggiustamento strutturale che teoricamente aiutavano le nazioni povere, ma che nella pratica aprivano i loro mercati alle multinazionali occidentali. Le regole venivano presentate come universalmente benefiche, ma casualmente favorivano sempre gli interessi americani.
Oggi l'Unione Europea sta facendo lo stesso gioco, ma al contrario. Non può competere nella namifattura con Stati Uniti e Cina, non può competere energeticamente perché dipende dalle importazioni, non può competere tecnologicamente sull'innovazione di frontiera. Quello che può fare è diventare il legislatore globale, esportare standard normativi come vantaggio competitivo. È imperialismo regolamentare vestito da preoccupazione morale.
Le aziende europee, già abituate a navigare regolamentazioni pesanti, ottengono una barriera all'ingresso contro concorrenti internazionali. La macchina di Bruxelles consolida il suo ruolo di interprete indispensabile di norme che nessuno comprende completamente. E il tutto viene venduto come necessità assoluta per salvare il pianeta.
Ma il problema esiste davvero
Ed è qui che la faccenda si complica, perché non è tutto cinismo e estorsione. Il lavoro minorile nelle catene di fornitura esiste ed è documentato. La distruzione ambientale da parte di attività estrattive è verificabile. Le esternalità aziendali che nessuno paga sono reali. I fallimenti di mercato dove il sistema da solo non corregge esistono.
Il punto non è negare questi problemi. Il punto è che il meccanismo scelto per affrontarli è insieme economicamente inefficiente, politicamente autolesionista e praticamente inapplicabile. Chiedere a una multinazionale di monitorare ogni fornitore di terzo e quarto livello in paesi con documentazione inesistente non è ambizioso, è teatro. Costa enormemente, produce montagne di carta, e l'impatto reale sulla riduzione del danno è marginale rispetto alle risorse impiegate.
È come le indulgenze medievali: la Chiesa aveva una preoccupazione legittima riguardo al peccato e alla salvezza delle anime, ma il meccanismo istituzionale di vendere indulgenze per finanziare San Pietro era palesemente autolesionista. Il risultato fu un sistema corrotto che minò la legittimità della preoccupazione originale. La direttiva europea rischia lo stesso: usare preoccupazioni ambientali legittime come copertura per costruire un impero regolamentare, generando cinismo verso l'azione climatica genuina perché mescolata con ovvia estrazione finanziaria.
La trappola della complessitÃ
C'è un altro livello di sofisticazione nel gioco. Quando una norma diventa così complessa che solo esperti specializzati possono interpretarla, crei dipendenza strutturale. Le aziende non possono più valutare autonomamente se sono conformi, devono pagare consulenti esterni. E chi certifica i consulenti? Altri livelli di burocrazia. È un sistema che si autoalimenta.
A novembre 2024 la Commissione Europea ha annunciato piani per fondere questa direttiva con altre due normative sulla sostenibilità in un'unica regolamentazione. Dicono che è per semplificare. In realtà stanno creando un costrutto normativo talmente stratificato che nessuno può più districarlo senza intermediari certificati. Non è un effetto collaterale, è una caratteristica del sistema.
E quando ExxonMobil protesta dicendo che la legge è tecnicamente impossibile da rispettare, ha ragione su un punto: chiedere a un'azienda petrolifera di pianificare come raggiungerà emissioni zero allineate all'obiettivo di 1,5 gradi significa essenzialmente chiederle di pianificare la propria obsolescenza programmata mentre è ancora redditizia vendendo petrolio. È progettare un sistema dove la conformità è strutturalmente incompatibile con il modello di business.
Il gioco geopolitico nascosto
Il capo di ExxonMobil ha detto esplicitamente: "L'Europa si sta lentamente soffocando. Stanno cercando di costruire una cosiddetta economia verde che non funziona. E invece di cercare di aggiustarla, ora stanno cercando di trascinare giù ogni azienda americana". Non è solo retorica aziendale. È la descrizione di una strategia geopolitica reale.
L'Unione Europea ha perso il vantaggio competitivo manifatturiero. La risposta non è investire in innovazione o ridurre costi energetici. La risposta è: se non possiamo competere economicamente, competeremo moralmente. Trasformare la preoccupazione climatica in strumento per creare fossati regolamentari. Costringere le multinazionali globali a scegliere: o adottate gli standard europei ovunque operate, o uscite dal mercato europeo. E sperare che altri paesi adottino quegli standard, creando un sistema dove Bruxelles detta le regole mondiali senza avere il peso economico per farlo.
Quello che succederà davvero
Guardando casi analoghi nelle regolamentazioni passate, lo schema che emerge è prevedibile. Nel breve termine: costi enormi di adeguamento, boom della consulenza, alcune aziende escono dal mercato europeo. Nel medio termine: applicazione selettiva e incoerente delle norme, nasce il "teatro della conformità " dove tutti fingono di rispettare regole che nessuno può davvero verificare. Nel lungo termine: gli standard si normalizzano, il panorama competitivo si stabilizza con nuove barriere all'ingresso, e l'unico vero effetto è il consolidamento. Solo le megacorporazioni possono permettersi la conformità , schiacciano i concorrenti più piccoli.
E l'impatto climatico reale? Probabilmente marginale rispetto al costo. Non perché la preoccupazione non sia legittima, ma perché il meccanismo è progettato per estrazione e controllo più che per efficacia. Quando mischi preoccupazioni legittime con palese interesse istituzionale, mini la credibilità di affrontare i problemi veri.
Cosa sarebbe meglio evitare
Per l'Unione Europea: non usare preoccupazioni legittime come copertura per imperialismo regolamentare. Mina la credibilità . Non creare strutture così complesse che solo società di consulenza le capiscono, invita il cinismo. Non pretendere superiorità morale mentre la Germania brucia carbone e la Francia fa pressioni per esenzioni sul nucleare.
Per le multinazionali: non negare completamente la legittimità delle preoccupazioni, è strategia perdente nel lungo periodo. Non usare l'impossibilità della conformità come scusa per zero azione, invita reazione politica. Non presumere che l'atteggiamento difensivo vincerà contro trasparenza e miglioramento incrementale reale.
Per cittadini e osservatori: non cadere nel cinismo totale pensando che tutto sia truffa, ci sono problemi reali. Non accettare acriticamente che tutto sia fatto per salvare il pianeta, ci sono incentivi misti. Non pensare che o sei pro-clima o sei pro-business, è una falsa dicotomia progettata per bloccare il pensiero critico.
Il vero problema
La tragedia non è che l'Europa cerca di regolamentare le multinazionali. La tragedia è che quando le istituzioni che dovrebbero risolvere problemi diventano esse stesse il problema, minate la possibilità di affrontare davvero le questioni urgenti. Il cambiamento climatico è reale. Lo sfruttamento nelle catene di fornitura è documentato. Ma se il meccanismo per affrontarli è progettato principalmente per alimentare una macchina burocratica ed estrarre risorse, non stai risolvendo nulla, stai solo costruendo un nuovo livello di parassitismo istituzionale.
Quando ExxonMobil minaccia di uscire dall'Europa, non sta difendendo il diritto di inquinare liberamente. Sta dicendo: questo sistema è strutturato per rendermi responsabile dell'intera industria fossile globale, con sanzioni calcolate su fatturato mondiale, mentre mi chiede di pianificare la mia uscita dal business principale. È un sistema legale progettato per essere esistenzialmente incompatibile con il modello di business di una multinazionale petrolifera.
E forse è esattamente questo l'obiettivo. Ma se l'obiettivo è eliminare le aziende petrolifere attraverso regolamentazione punitiva invece che attraverso alternative economicamente competitive, stai solo spostando il problema. Quelle aziende opereranno altrove, in giurisdizioni con standard più bassi. L'Europa avrà la sua purezza normativa, ma l'impatto globale sarà probabilmente negativo.
È un caso perfetto di buone intenzioni più cattivi incentivi più autoperpetrazione istituzionale che produce risultati subottimali per tutti tranne il complesso industriale della conformità . E questo, più del cambiamento climatico stesso, è il vero problema: quando chi dovrebbe risolvere diventa parte del problema.
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