La disfunzione architettonica fiscale Italiana

Osserviamo la manovra fiscale in Italia 2025 con occhio clinico, non ideologico. Il governo ha reso strutturali misure che erano temporanee: taglio del cuneo fino a 40.000 euro di reddito, IRPEF a tre scaglioni, detrazioni limitate sopra i 75.000 euro. Costo complessivo: 18 miliardi annui. Dichiarazione ufficiale: semplificazione del sistema tributario. Realtà operativa: consolidamento e cristallizzazione della complessità esistente.
Il pattern dell'accrezione normativa
Quello che i comunicati stampa chiamano "riforma" è in realtà la manifestazione periodica di un pattern che si ripete da decenni. Ogni governo, di qualunque colore politico, applica patch sopra patch precedenti senza mai ripensare l'architettura di base. Il sistema fiscale italiano non viene mai riprogettato da zero; viene appesantito incrementalmente. Ogni nuova misura compensa le inefficienze generate dalla misura precedente, creando un ciclo vizioso di crescente complessità .
La manovra 2025 ne è l'esempio perfetto. Prendiamo il nuovo limite alle detrazioni per redditi superiori a 75.000 euro: massimo 14.000 euro di detrazioni nella fascia tra 75.000 e 100.000 euro, poi 8.000 euro tra 100.000 e 120.000 euro. Fin qui, sembrerebbe una regola semplice. Ma ecco che arrivano le eccezioni: spese sanitarie escluse dal limite, mutui stipulati prima del 31 dicembre 2024 esclusi, investimenti in startup e PMI innovative esclusi. Ogni eccezione, per quanto giustificabile singolarmente, richiede documentazione separata, calcoli distinti, verifiche incrociate tra diverse categorie di spesa.
Chi paga il costo reale di questa complessità ? Il contribuente onesto che deve navigare il labirinto normativo o pagare un professionista per farlo. Più il sistema diventa complesso, più si crea un'industria della compliance che vive proprio di questa complessità . È un equilibrio perverso ma stabile: nessuno degli attori coinvolti ha davvero incentivo a semplificare radicalmente.
La matrice del payoff sbilanciato
Applichiamo la teoria dei giochi alla situazione concreta. Per un attore razionale, il sistema fiscale italiano offre sostanzialmente due strategie possibili, ciascuna con il proprio profilo di costi e benefici.
La prima strategia è la conformità piena. Significa dedicare ore a comprendere quali detrazioni spettano e quali no, incrociare le soglie delle diverse agevolazioni, verificare se un fringe benefit rientra nel limite di 1.000 o 2.000 euro a seconda che si abbiano figli o meno, calcolare se conviene dichiarare quel reddito aggiuntivo o se si finisce in una soglia penalizzante. Significa quasi sempre rivolgersi a un commercialista, con costi che per un professionista vanno da 500 a 2.000 euro annui. Significa anche vivere con il rischio costante di aver commesso un errore involontario, perché in un sistema dove nemmeno gli esperti concordano sempre sull'interpretazione corretta, l'errore onesto è sempre possibile e comunque sanzionabile. Il payoff netto di questa strategia: basso o medio, con alto investimento di tempo, denaro e stress cognitivo.
La seconda strategia è la defezione parziale o totale. Se una parte dell'attività rimane in nero, il costo cognitivo è praticamente zero: non devi calcolare nulla, non devi documentare nulla, non devi pagare commercialisti. Il guadagno economico è immediato e sostanzioso. Il rischio di sanzioni esiste, certamente, ma va moltiplicato per una probabilità di scoperta che in Italia rimane strutturalmente bassa. Il payoff netto di questa strategia: alto, con investimento minimo.
Il problema fondamentale non è morale, è ingegneristico. Quando il percorso onesto presenta più attrito, più costi e più rischi del percorso disonesto, predicare etica fiscale diventa inutile retorica. Serve riprogettare il gioco, non cambiare i giocatori.
L'illusione delle soglie semplici
La manovra 2025 vanta di aver mantenuto tre aliquote IRPEF invece delle precedenti quattro, presentandola come una vittoria della semplificazione. Ma questa è semplificazione solo sulla carta ministeriale. Nella realtà operativa quotidiana, un contribuente deve tenere a mente e calcolare l'interazione di soglie completamente diverse tra loro.
Ci sono le soglie per il cuneo fiscale: indennità non tassabile fino a 20.000 euro, poi detrazioni che partono da 1.000 euro fissi fino a 32.000 euro e decrescono progressivamente fino ad azzerarsi a 40.000 euro. Ci sono le soglie per le detrazioni generali: nessun limite fino a 75.000 euro, poi 14.000 euro di tetto fino a 100.000, poi 8.000 euro fino a 120.000. Ci sono le soglie per i fringe benefit: 2.000 euro se hai figli a carico, 1.000 euro se non ne hai. Tutte queste soglie interagiscono tra loro creando effetti cliff, situazioni in cui guadagnare un euro in più significa perderne cento o più in benefici fiscali.
Il risultato è un sistema che non premia il merito o la produttività , ma premia chi conosce abbastanza le regole da fermarsi esattamente prima delle soglie penalizzanti. Meglio dichiarare 74.999 euro che 75.001. Meglio rimanere a 39.999 che salire a 40.001. Non è cinismo, è ottimizzazione razionale di fronte a incentivi distorti.
Cosa sappiamo che non funziona
Quarant'anni di osservazione diretta delle dinamiche fiscali italiane, attraverso governi di ogni colore, permettono di identificare con certezza clinica cosa non funziona e non funzionerà mai.
Non funziona aggiungere bonus selettivi che richiedono documentazione aggiuntiva. Ogni nuovo bonus crea un nuovo modulo, una nuova scadenza, una nuova possibilità di errore. L'ISEE per il bonus bebè, le dichiarazioni per i fringe benefit, le attestazioni per le detrazioni familiari: ogni documento richiesto è un nuovo punto di attrito che allontana dalla compliance chi ha meno tempo o competenze per navigare la burocrazia.
Non funziona creare soglie multiple che generano incentivi perversi. Quando il sistema punisce chi guadagna di più con perdite improvvise di benefici, non sta tassando i ricchi, sta scoraggiando la dichiarazione onesta dei redditi. L'evasore non dichiara comunque; il lavoratore dipendente o il professionista onesto si ritrova a fare calcoli assurdi per capire se accettare o meno un incarico aggiuntivo.
Non funziona rendere strutturali patch temporanei senza ripensare l'architettura complessiva. Il taglio del cuneo era nato come misura emergenziale. Renderlo permanente senza semplificarne la logica significa cementare nella struttura fiscale un meccanismo che andava bene per l'urgenza ma è inefficiente per il lungo periodo.
Non funziona dichiarare semplificazione quando si sta in realtà consolidando la complessità . Ridurre da quattro a tre aliquote IRPEF mentre si moltiplicano le soglie e le eccezioni è come riordinare i mobili in una casa che sta crollando: dà l'impressione di fare qualcosa, ma non affronta il problema strutturale.
Se questa analisi coglie davvero i meccanismi all'opera, dovremmo poter fare predizioni verificabili. Nei prossimi due anni osserveremo un aumento delle consulenze fiscali nella fascia di reddito tra 70.000 e 130.000 euro, proprio quella interessata dai nuovi limiti alle detrazioni. Vedremo una concentrazione anomala di redditi dichiarati appena sotto le soglie critiche: molti contribuenti a 74.500 euro, pochi a 76.000. E soprattutto, non vedremo alcun miglioramento strutturale nel rapporto tra tax gap e PIL, perché le misure introdotte non toccano minimamente i meccanismi che permettono l'evasione sistematica.
Il paradosso politico della complessitÃ
Ed è qui che emerge l'insight più inquietante. Il sistema non è progettato male per caso o per incompetenza. È progettato male per accrezione, certo, ma c'è una ragione sistemica per cui nessun governo riesce davvero a semplificare.
La complessità fiscale serve funzioni nascoste ma potenti. Permette di distribuire benefici mirati a categorie specifiche di elettori senza dichiararlo esplicitamente. Permette di correggere in corsa gli effetti indesiderati delle misure precedenti senza ammettere che erano sbagliate. Permette ai professionisti del settore di giustificare le proprie parcelle. Permette ai politici di annunciare continuamente nuove misure, perché in un sistema complesso c'è sempre qualcosa da aggiustare.
Ogni attore coinvolto ha incentivi razionali a mantenere il sistema com'è. I governi possono dichiarare vittorie incrementali. I commercialisti hanno un mercato garantito. Le categorie che beneficiano delle eccezioni difendono gelosamente i propri vantaggi specifici. Gli evasori operano tranquilli sapendo che il sistema è troppo complesso per essere controllato efficacemente.
L'unico che perde in questo equilibrio è il contribuente onesto medio, quello che non ha abbastanza reddito per permettersi ottimizzazioni sofisticate ma ne ha abbastanza per essere colpito da tutte le complicazioni. Troppo ricco per i bonus ai poveri, troppo povero per le scappatoie dei ricchi, troppo onesto per evadere, troppo solo per avere potere di lobby. È lui che paga il costo della conformità in un sistema progettato per renderla difficile.
E questo è forse il meccanismo più perverso: il sistema fiscale italiano non fallisce nonostante la sua complessità . Funziona esattamente come deve funzionare date le pressioni politiche, le resistenze corporative e gli equilibri di potere che lo hanno generato. Cambiarlo davvero richiederebbe rompere simultaneamente troppi equilibri consolidati. Quindi continueremo ad assistere a riforme che riformano il riformabile, lasciando intatta l'architettura disfunzionale di fondo.
Non è questione di trovare il governo giusto o il tecnico illuminato. È questione di riconoscere che l'architettura attuale è un equilibrio stabile, per quanto perverso, e che spostarlo richiederebbe una forza politica e una volontà di semplificazione radicale che in Italia non si sono mai manifestate. Nel frattempo, il gioco continua con le sue regole distorte, e l'onestà fiscale rimane un atto eroico invece che la scelta razionale.
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