La mente in piazza

Le immagini di oggi sono potenti, inequivocabili. Piazze gremite, tangenziali bloccate, slogan urlati a pieni polmoni, la tensione palpabile tra manifestanti e forze dell'ordine. Da Milano a Roma, passando per Bologna, una vasta ondata di protesta ha attraversato l'Italia, alimentata dalla complessa e dolorosa questione di Gaza e dal rientro degli attivisti della "Flotilla". La cronaca ci racconta i fatti: il numero dei partecipanti, i disagi alla circolazione, le dichiarazioni infuocate dei politici. Ma per comprendere davvero la portata di eventi come questi, la cronaca non basta. Dobbiamo guardare oltre il "cosa" è successo e chiederci "perché" ci scuote così profondamente, perché ci divide in modo così netto e, a tratti, irrazionale.
La risposta non si trova solo nei manuali di geopolitica o di sociologia, ma anche in quelli di psicologia. Quello che accade nelle piazze è lo specchio di ciò che accade nella nostra mente. Le dinamiche di una giornata di protesta sono un laboratorio a cielo aperto che rivela i meccanismi, i cortocircuiti e le scorciatoie del nostro apparato cognitivo. Questo post non vuole essere un'analisi politica, né un giudizio su chi abbia torto o ragione. Vuole essere un viaggio all'interno del nostro cervello per capire come processiamo la realtà quando questa si presenta in modo così conflittuale e carico di emozioni, svelando i bias cognitivi, le euristiche e le dinamiche di gruppo che, silenziosamente, governano le nostre reazioni.
Come semplifichiamo una realtà ingestibile
Il nostro cervello è una macchina straordinaria, ma è anche intrinsecamente "pigra". Evolutivamente, è programmato per risparmiare energia. Di fronte a un sovraccarico di informazioni complesse e ambigue, come un conflitto internazionale o le ragioni di uno sciopero generale, non può permettersi di analizzare ogni singolo dettaglio in modo razionale. Per sopravvivere, ha sviluppato delle scorciatoie mentali, chiamate euristiche. Queste non sono errori, ma strategie cognitive efficienti che, tuttavia, possono condurci a conclusioni distorte.
La giornata di ieri ne è un esempio lampante. La prima euristica che entra in gioco è l'Euristica della Disponibilità . Il nostro cervello tende a giudicare la frequenza o la probabilità di un evento in base alla facilità con cui riesce a richiamare esempi alla mente. I media, per loro natura, si concentrano sugli eventi più drammatici: lo scontro, il blocco stradale, il lancio di un fumogeno. Queste immagini, potenti e ripetute ossessivamente, diventano estremamente "disponibili" nella nostra memoria. Il risultato? Sovrastimiamo la prevalenza della violenza e del caos, e la nostra percezione dell'intera manifestazione viene a coincidere con il suo momento più critico. Migliaia di persone che marciano pacificamente vengono rese cognitivamente invisibili da poche decine che si scontrano con la polizia.
A braccetto con questa, agisce l'Euristica dell'Affetto. Le nostre reazioni a stimoli complessi non sono guidate da un'analisi logica, ma da un'emozione istintiva, un "sentimento di pancia". Un titolo di giornale, una fotografia, un video di pochi secondi possono scatenare rabbia, compassione, paura o sdegno. Questa emozione primordiale colora tutto il processo di giudizio successivo. Se un'immagine ci provoca compassione per i manifestanti, tenderemo a interpretare tutte le informazioni successive in modo favorevole alla loro causa. Se, al contrario, ci provoca rabbia per i disagi causati, saremo portati a condannare l'intera protesta. L'emozione decide da che parte stare; la ragione arriva dopo, spesso solo per costruire un'argomentazione a sostegno di una decisione già presa a livello viscerale.
La tribù ha sempre ragione
Se le euristiche sono le scorciatoie, il Bias di Conferma è l'autostrada che il nostro pensiero percorre più volentieri. Non siamo osservatori neutrali della realtà ; siamo avvocati difensori delle nostre convinzioni preesistenti. Questo bias descrive la nostra tendenza, profondamente radicata, a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in un modo che confermi ciò in cui già crediamo, ignorando o screditando tutto ciò che lo contraddice.
Applicato alle notizie di ieri e gli strascihci di oggi, questo meccanismo è devastante per un dibattito equilibrato. Chi simpatizza con la causa palestinese e con i movimenti di protesta setaccerà il web e i social media alla ricerca di articoli che denunciano la repressione, che esaltano la partecipazione popolare e che giustificano le azioni di disobbedienza civile. Ogni video di un manganello alzato sarà la prova definitiva della violenza dello Stato. Al contrario, chi considera queste manifestazioni una minaccia all'ordine pubblico o non ne condivide le ragioni, si concentrerà sulle immagini dei cittadini bloccati nel traffico, sulle testimonianze di negozianti spaventati, sulle dichiarazioni di condanna delle istituzioni. Ogni cassonetto rovesciato diventerà la prova inconfutabile che i manifestanti sono solo "teppisti".
Le nostre bolle sui social media agiscono come potentissime camere di risonanza (echo chamber) per questo bias. Algoritmi progettati per darci ciò che ci piace finiscono per intrappolarci in un universo informativo dove le nostre convinzioni non vengono mai messe in discussione, ma solo costantemente rafforzate. Questo ci porta dritti a un altro fenomeno cognitivo cruciale: la Polarizzazione di gruppo. Quando discutiamo con persone che la pensano come noi, le nostre opinioni non si limitano a essere confermate, ma diventano più estreme. Una piazza fisica, come quella di oggi, è un motore di polarizzazione potentissimo. L'energia della folla, la condivisione di slogan e simboli, la sensazione di essere parte di una collettività giusta e coesa, spingono le convinzioni individuali verso posizioni più radicali di quelle che si avrebbero in isolamento.
L'identità sociale come scudo e arma
Perché sentiamo un bisogno così forte di schierarci? La Teoria dell'Identità Sociale, sviluppata da Henri Tajfel e John Turner, ci offre una spiegazione potente. Gran parte della nostra autostima non deriva da chi siamo come individui, ma dai gruppi a cui sentiamo di appartenere: la nostra nazionalità , la nostra squadra del cuore, il nostro orientamento politico. Per valorizzare il nostro gruppo di appartenenza (l'in-group), abbiamo bisogno di distinguerlo e, spesso, di svalutare i gruppi esterni (gli out-group).
Una manifestazione è un'incredibile affermazione di identità sociale. Gridare uno slogan significa dire "Io sono uno di loro", "Noi siamo quelli che lottano per la giustizia". Automaticamente, si definisce un "loro": le istituzioni, le forze dell'ordine, l'opinione pubblica contraria, i media "nemici". Questa divisione attiva un altro bias micidiale: l'Errore fondamentale di attribuzione. Quando osserviamo il comportamento di qualcuno, tendiamo a spiegarlo in modi diversi a seconda del gruppo a cui appartiene.
Se un membro del nostro "in-group" (un manifestante) compie un'azione aggressiva, siamo portati ad attribuirne la causa a fattori esterni e situazionali ("è stato provocato", "la situazione era insostenibile"). Se un membro dell' "out-group" (un poliziotto) fa esattamente la stessa cosa, la attribuiremo a fattori interni e disposizionali ("è una persona violenta", "è cattivo di natura"). Questo meccanismo mentale ci permette di mantenere un'immagine positiva del nostro gruppo, giustificando le sue azioni, e un'immagine negativa dell'altro, condannandole a prescindere dal contesto.
Uscire dalla matrice cognitiva
Prendere atto di questi meccanismi può essere scoraggiante. Sembra quasi che siamo programmati per il conflitto e l'incomprensione, prigionieri di una matrice cognitiva invisibile. Eppure, la consapevolezza è il primo, fondamentale passo verso la liberazione. Essere coscienti dei nostri bias non li elimina, ma ci permette di riconoscerli in azione e, con sforzo, di mitigarne gli effetti.
Come possiamo, quindi, leggere le notizie di una giornata come oggi in modo più critico e meno reattivo?
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Praticare l'auto-osservazione emotiva: Quando leggi un titolo o vedi un'immagine che ti provoca una forte reazione, fermati. Chiediti: "Cosa sto provando in questo momento? Rabbia? Paura? Indignazione?". Riconoscere l'emozione ti permette di separarla dall'analisi dei fatti.
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Cercare attivamente il dissenso: Esci dalla tua bolla. Fai lo sforzo consapevole di leggere giornali, ascoltare opinioni e seguire account social che la pensano in modo diametralmente opposto al tuo. Non per cambiare idea, ma per capire la logica e le ragioni dell' "altro".
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Umanizzare l'Out-group: Dietro le etichette ("manifestante", "poliziotto", "politico") ci sono esseri umani con storie, paure e motivazioni complesse. Provare a comprendere queste motivazioni, anche senza condividerle, smonta la narrativa tossica del "noi contro loro".
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Distinguere i fatti dalle interpretazioni: Ogni notizia è composta da un nucleo di fatti verificabili (es. "un corteo ha bloccato la strada X alle ore Y") e da un alone di interpretazione (es. "i teppisti hanno paralizzato la città "). Impara a isolare il primo e a guardare con sospetto il secondo.
Le piazze di oggi non sono solo il teatro di uno scontro politico e sociale. Sono lo specchio delle nostre menti, con tutte le loro meravigliose efficienze e le loro pericolose fallacie. Capire che il nostro avversario più grande non è chi la pensa diversamente da noi, ma il nostro stesso modo di pensare, non risolverà i conflitti del mondo. Ma è l'unico punto di partenza possibile per iniziare ad avere una conversazione onesta, e forse, un giorno, per trovare un terreno comune