La trappola dell'auto-cecitÃ

Questa mattina mi sono guardato allo specchio e ho visto un impostore. Non uno qualunque, ma quello più raffinato che esista: uno che conosce tutti i trucchi della mente umana eppure continua a cascarci come un principiante. Trent'anni passati a decifrare i meccanismi psicologici che muovono consumatori, investitori e imprenditori e mi ritrovo qui, a sessant'anni suonati, a scoprire che il paziente più resistente alla terapia sono sempre stato io.
La psicologia economica ti insegna una cosa fondamentale: gli esseri umani sono macchine predittibili guidate da bias cognitivi che si ripetono con la precisione di un orologio svizzero. Impari a riconoscere l'effetto ancoraggio, la tendenza alla conferma, l'avversione alle perdite. Diventi un detective dei comportamenti irrazionali altrui. E poi un giorno ti accorgi che mentre eri occupato a mappare la follia degli altri, la tua si è evoluta in forme sempre più sofisticate.
Il gioco delle maschere
C'è una differenza sottile ma devastante tra studiare la psicologia in generale e quella economica. La prima ti aiuta a capire perché le persone si comportano in un certo modo. La seconda ti insegna a prevederlo, influenzarlo, monetizzarlo. È come avere una mappa dettagliata di tutti i vicoli ciechi della mente umana, ma scoprire che quando si tratta di navigare la tua, continui a perderti negli stessi angoli bui.
Il paradosso è che più conosci i meccanismi, più diventi bravo a razionalizzarli quando li applichi a te stesso. "Io non sto cedendo al bias di conferma, sto semplicemente seguendo le evidenze che supportano la mia strategia." "Non è procrastinazione, è una valutazione ponderata dei rischi." "Non sto evitando il confronto, sto semplicemente aspettando il momento giusto per massimizzare l'impatto."
La buona fede diventa il tuo alibi perfetto. E più l'alibi è sofisticato, più è difficile da smascherare.
La profezia che si autorealizza
Poi c'è la parte più crudele: scoprire che spesso, agendo in quella che credi essere buona fede, finisci per ottenere esattamente ciò che temevi. È come se la vita avesse un senso dell'ironia particolarmente sviluppato.
Temi il rifiuto? Inizierai a comportarti in modo così difensivo, o peggio protettivo, che allontanerai le persone, garantendoti così il rifiuto che volevi evitare. Hai paura di sembrare inadeguato? Inizierai a sovracompensare con atteggiamenti che ti faranno sembrare esattamente quello: inadeguato, ma con la puzza sotto il naso.
Il bello è che te ne accorgi mentre succede. La tua parte razionale, quella che ha studiato tutti questi meccanismi, sta lì che urla "fermati, stai cadendo nella trappola", ma la parte emotiva ha già preso il controllo e procede dritta verso il disastro con la determinazione di un kamikaze.
L'archeologia di sé stessi
Così ho deciso di fare quello che faccio da sempre quando incontro un problema complesso: decostruirlo pezzo per pezzo. Solo che questa volta il problema sono io. Non il "me" professionale, quello che sa come funzionano i mercati e come si vendono le idee. Il "me" profondo, quello che prende decisioni emotive e poi le riveste di logica a posteriori.
È un lavoro di archeologia personale. Scavi tra i tuoi pattern comportamentali come se fossero cocci di un'antica civiltà , cercando di ricostruire la storia di come sei diventato quello che sei. E scopri cose che preferiresti non sapere. Come il fatto che molte delle tue "strategie vincenti" sono in realtà meccanismi di difesa camuffati da business plan.
La scoperta più spiazzante? Che spesso i comportamenti che più mi infastidiscono negli altri sono precisamente quelli che riconosco in me. È come guardarsi in uno specchio deformante che però, per una volta, non deforma abbastanza.
Il nuovo Rollo
Così ho deciso di reinventarmi. Non nel senso superficiale del "nuovo look, nuova vita", cioè si magari anche quello, ma nel senso profondo di creare una versione di me più consapevole, più equilibrata, soprattutto più onesta con sé stessa. Un Rollo che sa riconoscere i propri bias senza giustificarli, che sa stare nell'incertezza senza dover per forza trasformarla in una strategia.
Non è facile. Anzi, è terrificante. Significa rinunciare a molte delle certezze che ti sei costruito nel tempo, ammettere che forse non sei così bravo a leggere te stesso come pensavi. Significa accettare che l'expertise in psicologia economica e tutte quelle supercazzole sulle scienze cosiali, ti rendono un osservatore migliore degli altri, ma non necessariamente di te stesso.
Ma forse è proprio questo il punto. Forse la vera maturità non sta nel non avere più paure o dubbi, ma nel riconoscerli per quello che sono senza doverli per forza trasformare in qualcos'altro. Forse l'obiettivo non è eliminare i bias cognitivi, ma sviluppare l'umiltà di riconoscere quando ci stanno fregando.
L'equilibrio impossibile
La vita, alla fine, è questo delicato equilibrio tra ciò che sappiamo e ciò che sentiamo, tra la persona che pensiamo di essere e quella che siamo davvero quando nessuno guarda. È un equilibrio instabile, precario, che richiede correzioni continue come quello di un funambolo su una corda tesa tra due grattacieli.
Non elimina le sofferenze, i dubbi, le paure ancestrali che ci portiamo dietro da sempre. Ma almeno ti dà gli strumenti per riconoscere quando stai per cadere nella stessa buca di sempre, magari con abbastanza tempo per scegliere una buca diversa.
E forse, alla fine, è già qualcosa.