Ricominciare da me

by Rollo


Ricominciare da me

Questa mattina, di fronte allo specchio di casa, ho vissuto uno di quei momenti di lucidità che segnano discreti spartiacque esistenziali. Osservavo un volto familiare eppure stranamente alieno. Non era semplicemente questione di nuove rughe o di muscoli meno definiti, ma di una frattura più profonda, qualcosa che si annidava nello sguardo. Mi sono reso conto, con quella peculiare miscela di disagio e liberazione che accompagna le verità indesiderate, che negli ultimi mesi avevo lentamente abbandonato la disciplina che aveva sempre costituito l'architettura portante della mia quotidianità.

A sessantadue anni, l'ironia della situazione non mi sfugge. Ho finalmente raggiunto quell'età in cui il tempo non è più un bene scarso, in cui lavoro per il piacere dell'impegno mentale piuttosto che per necessità, eppure ho scelto, con una noncuranza quasi metodica, di non investire questo privilegio nella cura del mio corpo. Una contraddizione squisitamente umana: avere finalmente a disposizione la risorsa che per decenni ho desiderato e decidere, con apparente premeditazione, di sprecarne il potenziale.

L'archeologia delle mie giustificazioni

Ho affrontato questo riconoscimento come un archeologo dilettante alle prese con uno scavo complesso: non bastava rimuovere lo strato superficiale delle abitudini consolidate, dovevo scendere più in profondità, analizzare i frammenti delle mie convinzioni, catalogare i reperti delle mie giustificazioni quotidiane. Ho iniziato a tenere quello che potrei definire un "diario della consapevolezza corporea", documentando non solo gli esercizi eseguiti o i pasti consumati, ma soprattutto le narrazioni che mi raccontavo prima, durante e dopo questi momenti.

È stato illuminante, a tratti persino comico, scoprire quanto sofisticato fosse diventato il mio apparato di auto-inganno. "Lo farò domani" (un classico intramontabile), "alla mia età è normale rallentare" (un'interpretazione decisamente creativa del concetto di invecchiamento), "una volta terminata questa lettura" (come se Proust costituisse un impedimento all'attività fisica). La metacognizione, questa preziosa capacità di osservare i propri pensieri come entità separate, mi ha permesso di riconoscere quanto fossero elaborati i miei meccanismi di evasione dalla responsabilità verso me stesso.

La reinvenzione del movimento come necessità esistenziale

Non si è trattato di una semplice rivalutazione dell'esercizio fisico, ma di una completa riconcettualizzazione del suo significato nella mia vita. L'allenamento non è una concessione che faccio al mio corpo, né un'attività accessoria da incastrare tra impegni ritenuti più nobili. È piuttosto un dovere, una necessità primaria, una forma di rispetto verso l'unico veicolo che mi è stato assegnato per attraversare l'esistenza.

Ho iniziato a considerare il movimentare questo corpo sessantaduenne non come un tentativo nostalgico di recuperare una giovinezza perduta, ma come un atto di responsabilità verso il presente e il futuro prossimo. Non si tratta di rincorrere fantasmi di prestazioni passate, ma di onorare con dignità e consapevolezza le possibilità ancora intatte del mio organismo.

L'architettura della costanza

Con la meticolosità che ho sempre applicato ai miei interessi intellettuali, ho progettato un'articolata struttura temporale che potesse accogliere la varietà delle discipline che pratico. Ho creato un sistema di obiettivi con quell'acronimo tanto caro alla letteratura manageriale - SMART - declinandolo però secondo sensibilità personali piuttosto che parametri esteriori. Il mio traguardo primario non è impressionare gli altri, ma riconoscermi nuovamente.

Ho mappato la settimana come un territorio da esplorare sistematicamente: lunedì, mercoledì e venerdì alle 15:00, il CrossFit diventa il rituale d'apertura della giornata, seguito da venti minuti di mobility, questa pratica tanto sottovalutata quanto essenziale, soprattutto quando si abita un corpo che ha attraversato sei decenni. Martedì e giovedì, il canottaggio o il Dragon Boat mi riconnettono all'elemento acquatico, a quel fluire che è metafora perfetta dell'adattabilità necessaria all'invecchiare con grazia. Nei fine settimana, la mountain bike diventa lo strumento di una libertà ritrovata, seguita immancabilmente da sessioni di mobility che rappresentano un dialogo paziente con muscoli e articolazioni che hanno imparato un nuovo linguaggio temporale.

L'intelligenza artificiale come specchio tecnologico

In un gesto che i miei coetanei potrebbero interpretare come una bizzarra stravaganza, ho deciso di integrare l'intelligenza artificiale in questo percorso di riscoperta corporea. Non si tratta di un capriccio tecnologico, ma di una curiosità metodica verso possibilità inesplorate. Ho scelto di utilizzare questi algoritmi come specchi cognitivi che riflettono approcci diversi dai miei, prospettive che non avrei considerato, connessioni tra le mie diverse discipline che non avrei intuito.

C'è qualcosa di paradossalmente comico nel vedere un uomo della mia generazione, cresciuto con la carta carbone e i gettoni telefonici, chiedere a un'entità digitale consigli su come integrare efficacemente mobility e canottaggio. Eppure, proprio questa dissonanza contiene un valore prezioso: mi costringe a mantenere viva quella plasticità cerebrale che è il vero antidoto all'invecchiamento.

La mia esperienza con il fitness e la conoscenza accumulata in decenni di movimento mi permettono di filtrare criticamente i suggerimenti dell'AI. Riconosco con una certa soddisfazione quando questi sistemi "prendono delle cantonate", come quando mi propongono sequenze di allenamento che ignorano i tempi di recupero necessari tra discipline così diverse. Questa capacità di discernimento non è altro che l'applicazione del buon senso, quella qualità tanto sopravvalutata quanto indispensabile che nessun algoritmo ha ancora replicato con successo.

La cartografia digitale del corpo in movimento

Ho sviluppato una curiosa affinità con le applicazioni che monitorano i parametri fisici, trasformando quello che potrebbe sembrare un freddo esercizio di raccolta dati in una forma di auto-conoscenza mediata dalla tecnologia. È affascinante osservare come il battito cardiaco reagisca diversamente durante una sessione di CrossFit rispetto a un'uscita in Dragon Boat, o come la capacità di recupero segua modelli prevedibili eppure sempre leggermente diversi dopo ciascuna attività.

Mi diverte particolarmente analizzare come queste diverse discipline si influenzino reciprocamente: la forza sviluppata nel CrossFit che migliora la potenza della pagaiata, la resistenza costruita nel canottaggio che aumenta la performance sulla mountain bike, la mobility che funge da linguaggio comune tra tutte queste espressioni motorie. È una danza complessa di correlazioni, un sistema di vasi comunicanti che richiede attenzione e sensibilità interpretativa.

In questo processo di auto-osservazione assistita dalla tecnologia, ritrovo quella metodicità analitica che ha sempre caratterizzato il mio approccio alla conoscenza. C'è una sottile soddisfazione nel trasformare l'intuizione in dato misurabile, nel vedere confermata un'ipotesi soggettiva da un grafico oggettivo.

La condivisione come responsabilità generazionale

Ho deciso, infine, di documentare questo percorso non per narcisismo digitale, che in realtà è un'epidemia contemporanea a cui la mia generazione è relativamente immune, ma per un senso di responsabilità verso i miei coetanei. Esiste una solidarietà implicita tra coloro che attraversano la stessa fase dell'esistenza, un linguaggio comune fatto di piccoli dolori mattutini, di energie che seguono ritmi diversi, di sfide che solo chi le vive può comprendere pienamente.

Nei prossimi mesi condividerò non solo i progressi e gli inevitabili passi falsi, ma soprattutto le metodologie, le riflessioni, le scoperte derivanti dall'integrare discipline apparentemente distanti come CrossFit e canottaggio in un corpo che ha conosciuto sei decenni di gravità. Racconterò come formulare richieste efficaci all'intelligenza artificiale, come interpretare i dati raccolti, come adattare i suggerimenti alla realtà di un fisico che ha una sua storia e una sua saggezza.

Mi incuriosisce particolarmente la possibilità di entrare in dialogo con altri sessantenni che hanno scelto la strada della multidisciplinarietà sportiva. Quali strategie avete sviluppato per bilanciare l'entusiasmo con i necessari tempi di recupero? Come integrate discipline con richieste biomeccaniche così diverse? Avete scoperto connessioni inaspettate tra pratiche apparentemente distanti?

In fondo, la sfida più affascinante non è quella di eccellere in una singola disciplina - ambizione che lascio volentieri ai ventenni, ma di mantenere un corpo versatile e una mente curiosa, accettando i limiti con ironia e scoprendo, a volte con sorpresa, potenzialità inespresse. L'obiettivo non è dimostrare nulla agli altri, ma continuare quel dialogo onesto con se stessi che, a qualunque età, rimane il fondamento di una vita consapevole.