Trump aveva ragione

Il G20 di Johannesburg si è svolto senza gli Stati Uniti. Trump ha disertato citando tensioni con il Sudafrica, Xi Jinping ha mandato una delegazione di secondo livello, altri leader hanno trovato urgenze domestiche più pressanti. L'evento è proseguito comunque, con Sud Africa che ha dichiarato serenamente: "il mondo può andare avanti senza gli USA."
E qui emerge il paradosso che nessuno vuole guardare in faccia: Trump ha ragione che il G20 è largamente teatro inefficace. Ma nel momento in cui demolisce pubblicamente questo teatro, stiamo scoprendo quanto costoso sia perdere anche solo la finzione di coordinamento globale.
La domanda che solo alcuni possono permettersi
Perché Trump può fare questo test di realtà istituzionale mentre l'Unione Europea non può? Non è questione di coraggio o leadership. È pura asimmetria strutturale.
Gli Stati Uniti hanno quello che nella teoria delle opzioni si chiama alternativa credibile. Possono uscire da sistemi multilaterali perché dispongono di alternative funzionanti: relazioni bilaterali consolidate, supremazia militare che non richiede approvazione collettiva, il dollaro come valuta di riserva, un mercato domestico sufficientemente grande per assorbire shock di breve termine. Due oceani come fossato naturale completano il quadro.
L'Unione Europea non ha nessuna di queste carte. Dipende dalla NATO per la sicurezza, ha confini terrestri con zone di instabilità , necessita di sistemi multilaterali per gestire commercio e migrazioni. La sua stessa identità è costruita sul multilateralismo come antidoto al nazionalismo che l'ha devastata nel Novecento. Non può "uscire" da sistemi di coordinamento perché non esisterebbe fuori da essi.
Questa è economia istituzionale pura: chi ha costruito il sistema e dispone di alternative può defezionare. Chi dipende dal sistema per esistere deve difenderlo anche quando è disfunzionale. L'Europa è strutturalmente intrappolata nel dover sostenere istituzioni che sa essere inefficaci, perché l'alternativa è il collasso della propria rilevanza globale.
Il teatro che nascondeva infrastruttura operativa
Il G20 non ha statuto formale, non emette decisioni vincolanti, non dispone di meccanismi di applicazione. È essenzialmente una passerella mediatica dove vengono prodotti comunicati congiunti che raramente si traducono in azioni concrete. Trump ha semplicemente esplicitato quello che era evidente: quando gli Stati Uniti non si presentano, non succede nulla di drammatico.
Ma c'è un livello sotto il teatro che stiamo perdendo di vista. Questi vertici, per quanto inefficaci nel produrre politiche, mantenevano in vita una rete di relazioni, canali di comunicazione informali, conoscenza tacita su come coordinare durante crisi vere. Non è tanto l'incontro formale che conta, quanto il fatto che esisteva un'infrastruttura di coordinamento sempre attiva in sottofondo.
Quando demolisci pubblicamente la legittimità di queste istituzioni, non perdi solo il teatro. Perdi la memoria istituzionale di come fare coordinamento globale quando serve davvero. È come smettere di fare esercizi di evacuazione perché "tanto non ci sarà mai un incendio vero", tecnicamente vero fino a quando non lo è più.
L'analogia storica che regge scrutinio è la Società delle Nazioni negli anni Trenta. Formalmente esisteva ancora, leader si incontravano, documenti venivano prodotti. Ma tutti sapevano che quando contava davvero, Etiopia, Spagna, Cecoslovacchia, era irrilevante. Non servì "demolirla" formalmente. Semplicemente nessuno la usava più per decisioni che contavano. Nel momento in cui arrivò una crisi che richiedeva coordinamento vero, la capacità era già evaporata.
Il test di realtà del Brasile
C'è però un controesempio illuminante in questa storia: Lula ha battuto Trump sul campo delle tariffe, e il suo modello rivela qualcosa di importante.
Luglio 2025: Trump minaccia tariffe al 50% sul Brasile, pretende che il governo interrompa il processo contro Bolsonaro, usa tutto il peso economico statunitense come clava. Lula tiene duro. "Non vogliamo un imperatore, siamo nazioni sovrane." Rifiuta di piegarsi, mantiene i processi giudiziari, segnala disponibilità a tariffe reciproche.
Fine luglio: Trump concede esenzioni significative sui prodotti chiave brasiliani. Bloomberg titola: "La sfida di Lula paga dividendi mentre Trump fa marcia indietro."
Perché ha funzionato? Economia comportamentale applicata: gli Stati Uniti hanno surplus commerciale con il Brasile, non deficit. Le aziende americane hanno bisogno di aerei brasiliani, succo d'arancia, caffè, acciaio. La pressione domestica ha superato l'ostentazione ideologica. Lula aveva rischio personale reale, doveva difendere sovranità giudiziaria, mentre Trump stava bluffando per un alleato politico.
Il modello per potenze medie è chiaro: non cedere immediatamente, verificare se il bluff ha sostanza, avere alternative pronte, mantenere la posizione quando i tuoi interessi sono esistenziali mentre quelli dell'altra parte sono dimostrativi. Ma quanti leader avranno il contesto strutturale e il capitale politico per replicarlo?
I costi nascosti della delegittimazione
Il momento "il re è nudo" ha conseguenze che vanno oltre l'immediato. Quando Trump dice pubblicamente "questo è una perdita di tempo" e altri leader scoprono che possono dire lo stesso senza conseguenze immediate, crolla non solo l'efficacia dell'istituzione ma la sua legittimità simbolica.
Il G20 funzionava attraverso il rituale del consenso più che risultati concreti. "I leader si sono incontrati" conferiva legittimità alle politiche successive. "C'è stato dialogo" creava percezione di progresso. "Comunicato congiunto" segnalava allineamento. Questo capitale simbolico aveva valore reale nel ridurre attrito nelle interazioni successive.
Ora quel capitale è bruciato. E nel bruciarsi rivela quanto fosse già fragile. Il problema è che stiamo perdendo capacità di coordinamento prima di aver costruito alternative funzionanti. È un periodo di transizione dove il vecchio è morto ma il nuovo non è ancora nato, come diceva Gramsci, e in questo interregno appaiono mostri.
La Cina sta già riempiendo selettivamente i vuoti creati. Non per cospirazione ma per pura logica di governo: se gli Stati Uniti escono dall'OMS tagliando il 18% del bilancio, qualcuno deve compensare. Chi paga, comanda. Le priorità di ricerca, i flussi di dati, l'assunzione del personale, tutto si riallinea verso chi finanzia. Non serve essere filosinisti per vedere che questo crea dipendenza strutturale da Pechino in aree dove prima c'era almeno pluralismo di influenze.
Il conto che arriverÃ
Nei prossimi 18-24 mesi avremo il test empirico di questa grande scommessa. Se le alternative bilaterali degli Stati Uniti funzionano meglio del coordinamento multilaterale, Trump avrà dimostrato di aver ragione strategicamente. Se invece emerge una crisi, pandemica, finanziaria, climatica, che richiede coordinamento rapido e scopriamo che i canali sono arrugginiti, i costi saranno esponenzialmente più alti della cifra che risparmiavamo pagando quote a istituzioni "inefficaci."
La mia previsione clinica, falsificabile: vedremo un esito ibrido e costoso. Alcune funzioni saranno sostituite parzialmente da accordi bilaterali. Altre degraderanno visibilmente, specialmente sorveglianza di malattie e sistemi di allerta precoce. Ci sarà almeno un evento di rilevamento mancato o ritardato con conseguenze significative. E quando arriverà la prossima vera crisi, scopriremo che ricostruire capacità di coordinamento durante l'emergenza è molto più costoso che mantenerla di riserva.
Le istituzioni che sopravvivono oltre 75 anni accumulano conoscenza tacita difficile da replicare velocemente. Non è che "OMS buono, G20 buono." È che la memoria di coordinamento richiede decenni per svilupparsi e minuti per atrofizzarsi. La crisi finanziaria del 2008 fu gestibile perché l'infrastruttura di comunicazione del G20 già esisteva. COVID fu un disastro di coordinamento ma almeno i canali di base funzionavano. La prossima pandemia con OMS svuotato e Stati Uniti disconnessi? Ricostruire da zero durante la crisi significa costi esponenzialmente maggiori.
Cosa non concludere
È cruciale non scivolare in letture semplicistiche. Non è "Trump cattivo che demolisce ordine buono." È "istituzione che ha fallito test di prestazione durante COVID" incontra "superpotenza con alternative asimmetriche" incontra "populismo domestico che premia la sfida istituzionale."
Non è nemmeno "multilateralismo morto." È "questo tipo di multilateralismo, rituale del consenso senza applicazione, morto." Emergeranno nuove forme, più flessibili, più orientate a risultati, probabilmente più regionali e specifiche per tema. Ma la transizione sarà costosa e alcuni perderanno capacità che non recupereranno.
E soprattutto: non confondere legittimità simbolica con capacità operativa. Il G20 aveva poca della prima e ancor meno della seconda. Ma demolire pubblicamente anche il poco che c'era senza avere alternative pronte è scommettere che non avremo bisogno di coordinamento globale nel prossimo futuro.
La storia suggerisce che questa è una scommessa che raramente paga.
Il test che arriva
Trump sta facendo involontariamente un esperimento che risponderà a una domanda fondamentale: le istituzioni multilaterali del dopoguerra erano zombie che consumavano risorse senza produrre valore, o erano infrastruttura critica mascherata da teatro inefficace?
La risposta non verrà dai dibattiti televisivi o dai centri studi. Verrà dalla realtà quando presenterà il conto. Una pandemia che si diffonde più velocemente perché i canali dell'OMS sono degradati. Una crisi finanziaria che si aggrava perché il G20 non esiste più come forum credibile. Uno shock climatico che colpisce simultaneamente più regioni senza coordinamento di risposta.
Oppure, alternativamente, scopriremo che gli accordi bilaterali funzionano meglio, che la flessibilità batte la burocrazia, che piccole coalizioni di volonterosi producono più risultati di grandi macchine del consenso.
Onestà epistemica richiede di ammettere: non lo sappiamo ancora. Trump sta accelerando un esperimento che era probabilmente inevitabile dato lo spostamento di potere globale e la sclerosi istituzionale accumulata. Possiamo solo osservare, documentare i pattern, e prepararci per entrambi gli scenari.
Ma una cosa è già chiara: demolire il teatro è facile. Ricostruire capacità di coordinamento quando serve davvero è maledettamente difficile. E scoprire di aver distrutto infrastruttura critica pensando fosse solo scenografia? Quello è il tipo di errore che si paga per decenni.
Iscriviti alla newsletter The Clinical Substrate
Ogni venerdì, pattern recognition attraverso i layer che altri non vedono.